Consiglio di Stato, sez. IV, 10.10.2018 n. 5820
Nel merito il Giudice dell’appello ha rilevato quanto segue:
a) è ben noto che per consolidata giurisprudenza civile ed amministrativa(tra le tante, Cassazione civile, sez. un., 23/12/2016, n. 26897 Cons. di Stato sez. IV, n. 1515 del 19.3.2015; Cons. di Stato sez, VI, n. 4952 dell’8.10.2013; Cass. Civ. n. 21125 del 19.10.2015 T.A.R. Napoli, (Campania), sez. VIII, 10/10/2016, n. 4640 “l’iscrizione di una strada nell’elenco delle vie pubbliche o gravate da uso pubblico riveste funzione puramente dichiarativa della pretesa del comune, ponendo una semplice presunzione di pubblicità dell’uso, superabile con la prova contraria della natura della strada e dell’inesistenza di un diritto di godimento da parte della collettività mediante un’azione negatoria di servitù;”;
b) tale iscrizione è quindi superabile con la prova contraria della sua natura privata e dell’inesistenza di un diritto di godimento da parte della collettività;
c) senonchè, nel caso di specie, tale prova non è stata fornita, ed anzi l’appellante continua a fare riferimento al proprio atto di acquisto, ma non apporta alcun elemento atto a contestare la tesi del comune.
d) come è noto, la questione concernente la riconducibilità di una strada ad uso pubblico è stata assai sovente esaminata dalla giurisprudenza amministrativa e civile.
Senza alcuna pretesa di completezza, si rammenta in proposito che costituirebbero principi consolidati quelli secondo cui “per l’attribuzione del carattere di demanialità comunale ad una via privata è necessario che con la destinazione della strada all’uso pubblico concorra l’intervenuto acquisto, da parte dell’ente locale, della proprietà del suolo relativo (per effetto di un contratto, in conseguenza di un procedimento d’esproprio, per effetto di usucapione o dicatio ad patriam, ecc.), non valendo, in difetto dell’appartenenza della sede viaria al Comune, l’iscrizione della via negli elenchi delle strade comunali, giacché tale iscrizione non può pregiudicare le situazioni giuridiche attinenti alla proprietà del terreno e connesse con il regime giuridico della medesima, né la natura pubblica di una strada può essere desunta dalla prospettazione della mera previsione programmatica di tale destinazione, dall’espletamento su di essa, di fatto, del pubblico transito per un periodo infraventennale, o dall’intervento di atti di riconoscimento dell’amministrazione medesima circa la funzione assolta da una determinata strada” [v. Cons. Stato, sez. VI, 8 ottobre 2013, n. 4952; v., altresì, T.A.R. Trento, sez. 1, 21 novembre 2012, n. 341, per cui “affinché un’area assuma la natura di strada pubblica, non basta né che vi si esplichi di fatto il transito del pubblico (con la sua concreta, effettiva ed attuale destinazione al pubblico transito e la occupazione sine titulo dell’area da parte della p.a.) né l’intervento di atti di riconoscimento da parte dell’Amministrazione medesima circa la funzione da essa assolta, ma è invece necessario, ai sensi dell’art. 824 c.c., che la strada risulti di proprietà di un ente pubblico territoriale in base ad un atto o fatto (fra cui anche l’usucapione) idoneo a trasferire il dominio, ovvero che su di essa sia stata costituita a favore dell’Ente una servitù di uso pubblico e che essa venga destinata, con una manifestazione di volontà espressa o tacita, all’uso pubblico, ossia per soddisfare le esigenze di una collettività di persone qualificate dall’appartenenza ad una comunità territoriale”]; ulteriore necessaria precisazione sarebbe che “una strada rientra nella categoria delle vie vicinali pubbliche se sussistono i requisiti del passaggio esercitato jure servitutis publicae da una collettività di persone qualificate dall’appartenenza ad una comunità territoriale, della concreta idoneità della strada a soddisfare esigenze di generale interesse, anche per il collegamento con la pubblica via, e dell’esistenza di un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico” (v. Cass. 5 luglio 2013, n. 16864); del resto, “l’adibizione ad uso pubblico di una strada è desumibile quando il tratto viario, per le sue caratteristiche, assuma una esplicita finalità di collegamento, essendo destinato al transito di un numero indifferenziato di persone oppure quando vi sia stato, con la cosiddetta dicatio ad patriam, l’asservimento del bene da parte del proprietario all’uso pubblico di una comunità, di talché il bene stesso viene ad assumere le caratteristiche analoghe a quelle dí un bene demaniale” (v. Cons. Stato, sez. IV, 21 ottobre 2013, n. 5116; v., altresì, Cons. Stato, sez. IV, 25 giugno 2012, n. 3531, per la quale “affinché un’area possa ritenersi sottoposta ad un uso pubblico è necessario oltreché l’intrinseca idoneità del bene, che l’uso avvenga ad opera di una collettività indeterminata di persone e per soddisfare un pubblico, generale interesse”; T.A.R. Milano, sez. Il, 9 gennaio 2013, n. 42; v. T.A.R. Lecce, sez. I, 11 febbraio 2013, n. 297 “ai fini della qualificazione di una strada come vicinale pubblica, occorre avere riguardo alle sue condizioni effettive, […], la concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze di carattere generale, anche per il collegamento con la pubblica via e un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico, che può anche identificarsi nella protrazione dell’uso da tempo immemorabile. Qualora difetti l’iscrizione della strada nell’elenco delle strade vicinali di uso pubblico (iscrizione costituente presunzione iuris tantum, superabile con la prova contraria, dell’esistenza di un diritto di uso o di godimento della strada da parte della collettività), è l’Amministrazione che ha l’onere di accertare, con rigorosa istruttoria, la sussistenza dei sopra indicati requisiti” (v. T.A.R. Napoli, sez. VIII, 19 dicembre 2012, n. 5250; v., altresì, T.A.R. Napoli, sez. II, 17 luglio 2008, n. 8869); peraltro “la sdemanializzazione di un bene pubblico – ed a fortiori la sottrazione di un bene patrimoniale indisponibile alla sua originaria destinazione – oltre che frutto di una esplicita determinazione, può essere il portato di comportamenti univoci tenuti dall’Amministrazione proprietaria che si appalesano in modo concludente [incompatibili con la volontà di conservare la destinazione del bene all’uso pubblico” (v. Cons. Stato, sez. VI, 27 novembre 2002, n. 6597; T.A.R. Pescara 17 ottobre 2005, n. 580).