Corte di Cassazione civile, Sezioni Unite, 16.04.2018 n. 9338
In caso di dissenso espresso da un’amministrazione preposta alla tutela di un interesse sensibile, nel novero dei quali si colloca quello paesaggistico, il meccanismo previsto dal 3° comma dell’art. 14-quater della l. n. 241/90 impedisce alla conferenza di servizi di procedere ulteriormente e rende doverosa, ove l’amministrazione procedente intenda perseguire il superamento del dissenso, la rimessione della decisione al Consiglio dei ministri.
I. – Nella sentenza in epigrafe le Sezioni unite della Corte di cassazione, pronunciando in sede di impugnazione di sentenza del Tribunale superiore delle acque pubbliche, si occupano delle previsioni attinenti al funzionamento della conferenza di servizi, con specifico riferimento al ruolo che in tale modulo procedimentale assume il dissenso delle amministrazioni preposte alla tutela di interessi sensibili (quali quelli ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico, della tutela della salute e della pubblica incolumità) e alle modalità di possibile superamento di tale dissenso.
La pronuncia in rassegna è riferita alla disciplina dettata dall’art. 14-quater della legge n. 241 del 1990 (rubricato “Effetti del dissenso espresso nella conferenza di servizi”), nel testo risultante dall’art. 49 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, a sua volta fatto oggetto di interventi modificativi dai decreti-legge 13 maggio 2011, n. 70 e 18 ottobre 2012, n. 179. L’intera disciplina della conferenza di servizi, come noto, è stata successivamente rivisitata dal d.lgs. 30 giugno 2016, n. 127; attualmente, la disciplina dei “Rimedi per le amministrazioni dissenzienti” è contenuta nel testo novellato dell’art. 14-quinquies della legge n. 241 del 1990, mentre il vigente art. 14-quater della medesima legge ha ad oggetto la “Decisione della conferenza di servizi”. La normativa in vigore in tema di superamento del dissenso espresso, in seno alla conferenza di servizi, dalle amministrazioni portatrici di interesse sensibili (di cui al novellato art. 14-quinquies cit.), stabilisce peraltro un meccanismo procedimentale in parte diverso da quello in precedenza previsto dall’art. 14-quater (vecchio testo), del quale ultimo si occupano le Sezioni unite nella sentenza in esame. Ciò non toglie che, al di là degli specifici meccanismi di tecnica procedimentale, tanto nella disciplina del (vecchio) art. 14-quater quanto in quella del (nuovo) art. 14-quinquies il superamento del dissenso in materia di interessi sensibili passi attraverso una strutturazione del procedimento che vede uno spostamento all’esterno della conferenza della formulazione di una quota della decisione e il conseguente coinvolgimento del Consiglio dei ministri, che è il profilo precipuo di cui si occupa la sentenza delle Sezioni unite qui esaminata.
La fattispecie che ha condotto alla sentenza in esame può essere così sintetizzata:
- la controversia attiene alla impugnazione da parte di un terzo degli atti (tra cui permesso di costruire e autorizzazione paesaggistica) a mezzo dei quali il Comune di Cortina d’Ampezzo abilitava una società a costruire e poi gestire un parcheggio posto al servizio di un supermercato, realizzato con parziale copertura amovibile di un torrente;
- ottenuta dal terzo una prima sentenza di annullamento da parte del Tribunale superiore delle acque pubbliche e riattivato il procedimento ad istanza della società interessata, la competente Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici esprimeva parere negativo sul vincolo paesaggistico, cui faceva seguito da parte dell’amministrazione comunale l’indizione di conferenza di servizi a norma dell’art. 14 della legge n. 241 del 1990;
- nel corso della conferenza dei servizi la Soprintendenza ribadiva il proprio parere negativo, cui faceva seguito la dichiarazione del presidente della conferenza della impossibilità di rilasciare i provvedimenti autorizzatori richiesti, stante il parere vincolate sfavorevole dell’autorità preposta alla cura dell’interesse paesaggistico; il Comune di Cortina d’Ampezzo, a fronte di tale esito della conferenza, con propria nota rimetteva la questione alla Presidenza del Consiglio dei ministri, per il superamento del dissenso qualificato, con la successiva adozione degli atti propri di tale sequenza procedimentale;
- il terzo confinante impugnava dinanzi al Tribunale superiore delle acque pubbliche la determinazione comunale di rimessione della questione alla Presidenza del Consiglio dei ministri e gli atti consequenziali;
- il Tribunale superiore delle acque pubbliche, con sentenza n. 228 del 2016, ha accolto l’impugnazione evidenziando quanto segue: la conclusione dei lavori della conferenza dei servizi, con dichiarazione del suo presidente circa la impossibilità di rilasciare i provvedimenti richiesti, stante il parere negativo della Soprintendenza, corrisponde ad un arresto procedimentale definitivo, che non poteva essere rimosso con autonoma iniziativa dell’amministrazione comunale procedente; il Comune, con la decisione di indire la conferenza dei servizi, ha autolimitato le proprie prerogative, rimettendo la decisione alla stessa conferenza; esclusivamente in senso alla conferenza di servizi era quindi possibile rappresentare e manifestare le ragioni d’interesse pubblico idonee a giustificare la rimessione della questione in esame alla Presidenza del Consiglio dei ministri;
- il Comune di Cortina d’Ampezzo e la società interessata alla realizzazione del parcheggio hanno proposto ricorso per cassazione; in particolare l’amministrazione comunale ha evidenziato come la dichiarazione del presidente della conferenza di servizi, cui si riferisce la sentenza gravata, non abbia affatto inteso chiudere il procedimento, che il verbale conclusivo della conferenza ha mera rilevanza endoprocedimentale, che l’unico modo per risolvere il conflitto innescato dal parere negativo della Soprintendenza fosse la rimessione alla Presidenza del Consiglio dei ministri e che spettasse al Comune procedere a tale rimessione.
II. La sentenza in esame imposta due percorsi motivazionali (il primo dei quali non giunge tuttavia ad una valutazione finale, essendo stato ritenuto non rilevante ai fini della decisione) così sintetizzabili:
a) sulla necessità di impugnare il verbale conclusivo della conferenza di servizi:
a1) nel richiamare l’autolimitazione dei poteri decisori spettanti al Comune scaturente dall’indizione della conferenza di servizi e la conseguente necessità d’impugnare il verbale conclusivo della conferenza stessa, si riecheggia la tesi (emersa nella giurisprudenza amministrativa dopo le modifiche apportate dall’art. 49 del decreto-legge n. 78 del 2010), che prospetta il superamento della struttura dicotomica in precedenza assegnata alla conferenza di servizi, tesi in base alla quale, prima della modifica normativa richiamata, si riteneva che la conferenza fosse articolata in due fasi, la prima delle quali terminava con la determinazione conclusiva della conferenza, mentre la seconda sfociava nell’adozione del provvedimento finale da parte dell’autorità procedente;
a2) si sostiene di contro che, in seguito alle citate modifiche apportate dall’art. 49 cit., non sia più necessaria l’emanazione di un provvedimento finale distinto dal verbale conclusivo della conferenza di servizi, così che quest’ultimo avrebbe assunto il duplice ruolo di determinazione conclusiva della conferenza e di provvedimento finale del procedimento nel quale essa si inserisce; quest’interpretazione sarebbe sorretta per un verso dall’abrogazione del nono comma dell’art. 14-ter della legge n. 241/90, il quale prevedeva che il provvedimento finale dell’amministrazione procedente dovesse essere conforme alla determinazione conclusiva della conferenza e, per altro verso, dalla riformulazione del comma 6-bis del medesimo articolo, ove è previsto che l’amministrazione procedente adotta la determinazione motivata di conclusione del procedimento che sostituisce a tutti gli effetti ogni altro atto di competenza delle amministrazioni partecipanti, o comunque invitate a partecipare ma risultate assenti, alla predetta conferenza;
a3) il superamento della concezione dicotomica della conferenza di servizi comporterebbe, come conseguenza, l’impugnabilità del verbale conclusivo della conferenza di servizi, in quanto atto a valenza esoprocedimentale; si ritiene tuttavia non necessario valutare la fondatezza della tesi ricostruita, ciò perché la regola introdotta dalla riforma del 2010 non vale comunque nei casi in cui la disciplina della conferenza di servizi si distingua per profili di specialità, come accade giustappunto nell’ipotesi di rimessione della decisione al
Consiglio dei ministri per il superamento del dissenso qualificato;
b) sul dissenso espresso da amministrazione preposta alla tutela di interesse sensibile:
b1) in caso di dissenso espresso da un’amministrazione preposta alla tutela di un interesse sensibile, nel novero dei quali si colloca quello paesaggistico, il meccanismo previsto dall’art. 14-quater, comma 3°, della legge n. 241/90 impedisce alla conferenza di servizi di procedere ulteriormente e rende doverosa, ove l’amministrazione procedente intenda perseguire il superamento del dissenso, la rimessione della decisione al Consiglio dei ministri;
b2) la legge quindi, in attuazione dei principi costituzionali compendiati nell’art. 120 Cost. (che prevede, tra l’altro, l’intervento sostitutivo del Governo “quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica” della Repubblica), al cospetto del presupposto rappresentato dal “motivato dissenso” di un’amministrazione preposta alla tutela degli interessi sensibili enumerati, attribuisce il potere provvedimentale alla istanza amministrativa massima della Repubblica nella sua unità, e cioè al Consiglio dei ministri;
b3) è del tutto ininfluente che, in esito al fallimento della conferenza di servizi, l’amministrazione procedente formuli, o no, la riserva di rimettere la questione al Consiglio dei ministri e che la conferenza valuti, o no, gli interessi coinvolti ai fini di tale rimessione: l’attribuzione della competenza al Consiglio dei ministri non dipende da riserva o da valutazione alcuna, ma scaturisce direttamente dalla legge;
b4) si prospetta il difetto assoluto di attribuzione dell’amministrazione procedente, ma ai fini dell’esercizio del potere provvedimentale, non già al fine della rimessione della questione al Consiglio dei ministri.
– Si segnala per completezza quanto segue:
d) sulla riforma della conferenza di servizi di cui alla legge 7 agosto 2015, n. 124 si vedano i seguenti pareri resi dal Consiglio di Stato:
d1) Cons. Stato, comm. spec., 7 aprile 2016, n. 890, sullo schema di decreto legislativo recante norme in materia di riordino della disciplina della conferenza di servizi;
d2) Cons. Stato, comm. spec., 27 aprile 2018, n. 1127, relativo alle modalità di applicazione dell’articolo 14-ter, comma 4, della legge n. 241/90, come sostituito dall’art. 1, comma 1, del d.lgs. 30 giugno 2016, n. 127, in merito al rappresentante unico delle amministrazioni statali in seno alla conferenza di servizi simultanea;
e) sulla disciplina per il superamento del dissenso in materia di interessi sensibili si sono succeduti nel tempo moduli procedimentali diversificati:
e1) l’art. 17, comma 3, della legge 15 maggio 1997, n. 127 (che novellava l’art. 14, comma 4, della legge n. 241/90) ha introdotto una prima disciplina in materia di interessi sensibili, secondo la quale in presenza di motivato dissenso l’amministrazione procedente può chiedere “una determinazione di conclusione del procedimento al Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri”;
e2) l’art. 12 della legge 24 novembre 2000, n. 340 (che novellava l’art. 14-quater della legge n. 241/90) ha rimodulato l’organo decidente, stabilendo che “la decisione è rimessa al Consiglio dei ministri, ove l’amministrazione dissenziente o quella procedente sia un’amministrazione statale, ovvero ai competenti organi collegiali esecutivi degli enti territoriali, nelle altre ipotesi”;
e3) l’art. 11 della legge 11 febbraio 2005, n. 15 (che ancora novellava l’art. 14-quater della legge n. 241/90), ha effettuato ulteriore modifica dell’organo decidente, che poteva essere il Consiglio dei ministri, in caso di dissenso tra amministrazioni statali, la Conferenza Stato-regioni, in caso di dissenso tra un’amministrazione statale e una regionale o tra più amministrazioni regionali, la Conferenza unificata, di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, in caso di dissenso tra un’amministrazione statale o regionale e un ente locale o tra più enti locali, con possibilità, in ogni caso, di decisione finale del Consiglio dei ministri;
e4) l’art. 49, comma 3, della legge 31 maggio 2010, n. 78 (ancora novellando l’art. 14-quater cit.) ha stabilito che nell’ipotesi in esame la decisione “è rimessa dall’amministrazione procedente alla deliberazione del Consiglio dei Ministri, che si pronuncia entro sessanta giorni, previa intesa con la Regione o le Regioni e le Province autonome interessate, in caso di dissenso tra un’amministrazione statale e una regionale o tra più amministrazioni regionali, ovvero previa intesa con la Regione e gli enti locali interessati, in caso di dissenso tra un’amministrazione statale o regionale e un ente locale o tra più enti locali. Se l’intesa non è raggiunta nei successivi trenta giorni, la deliberazione del Consiglio dei Ministri può essere comunque adottata”; su questa disciplina è intervenuta la Corte cost. con sentenza 11 luglio 2012, n. 179, imponendo una intesa forte a tutela delle competenze proprie delle regioni; è seguita l’ulteriore riformulazione dell’art 14-quater cit. ad opera dell’art. 33-octies del decreto-legge 17 ottobre 2012, n. 179;
e5) l’art. 1 del d.lgs. 30 giugno 2016, n. 127 (che ha rinnovato l’intera disciplina della conferenza di servizi) ha inserito la disciplina dei “rimedi per le amministrazioni dissenzienti” nel novellato art. 14-quinqueis della legge n. 241/90; si tratta di disciplina fortemente innovativa sul piano procedimentale: a) le amministrazioni preposte alla tutela degli intessi sensibili devono proporre il proprio “motivato dissenso” prima della conclusione della conferenza, il che le legittima, a fronte della determinazione di conclusione delle conferenza, a “proporre opposizione al presidente del Consiglio dei ministri” (comma 1), la quale “sospende l’efficacia della determinazione motivata di conclusione della conferenza” (comma 3); b) viene quindi indetta una riunione tra i partecipanti alla conferenza “per l’individuazione di una soluzione condivisa, che sostituisca la determinazione motivata di conclusione della conferenza con i medesimi effetti” (comma 4), riunione che viene reiterata in caso siano coinvolti interessi di Regioni o Province autonome (comma 5); c) in caso di esito negativo la questione è rimessa al Consiglio dei ministri, con possibile partecipazione dei Presidenti delle Regioni o Province autonome interessate; se viene respinta l’opposizione “la determinazione motivata di conclusione della conferenza acquisisce definitivamente efficacia”; l’opposizione può essere accolta anche parzialmente dal Consiglio dei ministri, “modificando di conseguenza il contenuto della determinazione di conclusione della conferenza” (comma 6);
f) sulla c.d. “struttura dicotomica” della conferenza di servizi e sul suo superamento:
f1) sin dall’introduzione dell’istituto si è discusso se le determinazioni conclusive della conferenza di servizi avessero portata direttamente lesiva o se dovessero essere seguite dall’adozione di provvedimento formale dell’amministrazione procedente;
f2) la tesi della necessaria successiva adozione di provvedimento ha trovato conferma nella modifica apportata alla legge 241/90 dalla legge 24 novembre 2000 n. 340; il novellato art. 14 ter, comma 9, della legge 241 cit. infatti espressamente richiedeva l’emanazione di “un provvedimento finale conforme alla determinazione conclusiva favorevole della conferenza di servizi”, il quale sostituiva, “a tutti gli effetti, ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti”; parte della giurisprudenza ha tuttavia affermato la natura dichiarativa del provvedimento finale, con conseguente necessità di diretta impugnazione della determinazione conclusiva della conferenza (in tal senso Cons. Stato, sez. IV, 7 luglio 2008, n. 3361), con ciò valorizzando le previsioni normative che dichiaravano la immediata esecutività della determinazione conclusiva della conferenza (art. 14 quater, comma 2), che consentivano alle amministrazioni silenti di impugnare la determinazione conclusiva, entro trenta giorni dalla sua comunicazione (art. 14 ter, settimo comma), che disponevano che il provvedimento finale fosse “conforme alla determinazione conclusiva favorevole della conferenza di servizi” (art. 14 ter, nono comma);
f3) dopo la riforma di cui alla legge 11 febbraio 2005 n. 15 si è consolidata la tesi opposta e ha acquistato peso la concezione dicotomica della conferenza di servizi, ciò a partire da Cons. Stato, sez. VI, 11 novembre 2008, n. 5620, ove si afferma che sussiste “uno iato sistematico fra la determinazione conclusiva della conferenza (anche se di tipo decisorio) ed il successivo provvedimento finale” e che solo a quest’ultimo “possa essere riconosciuta una valenza effettivamente determinativa della fattispecie (con conseguente sorgere dell’onere di immediata impugnativa), mentre alla determinazione conclusiva deve essere riconosciuto un carattere meramente endoprocedimentale”, tesi che viene fondata sulla disposta abrogazione della prevista immediata esecutività della determinazione conclusiva nonché della immediata impugnabilità del verbale conclusivo da parte delle amministrazioni dissenzienti (cioè sul superamento di due dei tre indici normativi sopra richiamati);
f4) l’art. 49 del decreto-legge 31 maggio 2010 n. 78, convertito in legge 30 luglio 2010 n. 122, ha poi abrogato anche l’art. 14 ter, comma 9, cit., che disponeva la conformità del provvedimento finale alla determinazione conclusiva della conferenza; tale abrogazione viene letta nel senso di superamento della tesi dicotomica, non essendovi più necessità di provvedimento finale distinto dal verbale conclusivo della conferenza di servizi; in tal senso T.a.r. per il Lazio – Roma, sez. II quater, 9 febbraio 2015, n. 2338 ;
f5) nella disciplina vigente, introdotta dal d.lgs. n. 127 del 2016, l’art. 14 ter della legge n. 241/90 prevede, al comma settimo, che all’esito dell’ultima riunione della conferenza di servizi l’amministrazione procedente adotta la determinazione motivata di conclusione della conferenza la quale, ai sensi dell’art. 14 quater, comma 1, sostituisce ad ogni effetto gli atti di assenso delle amministrazioni partecipanti; non vi è più, quindi, dicotomia tra verbale conclusivo della conferenza e successivo atto finale, bensì la diretta assunzione, da parte dell’amministrazione procedente, della determinazione motivata dotata di efficacia giuridica esterna;
g) sui limiti alla formazione del silenzio-assenso e sulla necessità di una determinazione conclusiva in materia ambientale, anche in esito a conferenza di servizi, cfr. Cons. Stato, sez. IV, 25 gennaio 2018, n. 499;
h) sulle censure di ordine formale, inerenti violazioni delle garanzie procedimentali a tutela della posizione delle amministrazioni pubbliche, e sul rilievo che esse non possano essere formulate dai privati che impugnano gli esiti della conferenza di servizi, cfr. Cons. Stato, sez. V, 22 marzo 2012, n. 1640.