L’autorizzazione ambientale si connota come una tipica autorizzazione costitutiva, in quanto è “concessa” per un tempo prestabilito e dunque non sussiste in capo al destinatario alcun precostituito diritto a ottenerla; può essere rilasciata solo dopo che la pubblica amministrazione abbia valutato i vari interessi rilevanti, che vengono in evidenza nel corso dell’iter procedimentale (cfr. Tar Bari, sez. II, 4 marzo 2019, n. 342).
Dal punto di vista etimologico, il termine “prescrizione” ha origine dal latino “prae-scriptio” (derivato dal verbo “prae-scribĕre”) e indica letteralmente lo scrivere (o imporre) “prae-”, ossia “davanti” o “innanzi” qualcosa a qualcuno, nella sostanza evocando l’atto di porre una norma da parte di chi ne ha autorità al cospetto di chi la deve osservare.
Nel suo significato assoluto, appena ricordato, il concetto di prescrizione si distingue dai significati relativi (e traslati) determinati dalle sue tipiche aggettivazioni, come nel caso di prescrizione estintiva (o solo prescrizione), che indica l’estinzione di un diritto, e di prescrizione acquisitiva (o usucapione), che si riferisce invece all’acquisto di un diritto reale.
Quanto alla possibilità d’inserire le c.d. “prescrizioni di obblighi”, va ricordato che qualsiasi atto amministrativo ha per contenuto una “parte necessaria” (essentialia negotia), corrispondente agli elementi del tipo previsto dalla legge, e può avere anche una limitata “parte eventuale” (accidentalia negotia). Nell’attività amministrativa, si è infatti pervenuti ad ammettere l’inserimento di elementi accidentali o eventuali nell’atto amministrativo, ai quali vengono in genere ricondotti le c.d. clausole impositive di obblighi, purché però queste non siano ex se incompatibili con la natura dell’atto e non alterino la tipicità del provvedimento stesso.
Le misure prescrittive dunque indicano propriamente a quali obblighi viene subordinata la validità e l’efficacia dell’autorizzazione, ovverosia quali sono gli obblighi a cui deve adempiere e conformarsi il destinatario dell’atto, affinché possa svolgere legittimamente l’attività assentita. In questa accezione, può dirsi che la c.d. prescrizione di obblighi ponga una sorta di condicio juris al provvedimento, in quanto solo dopo il suo adempimento l’autorizzazione spiega i propri effetti tipici. Talché un simile provvedimento finisce per assumere un contenuto precettivo positivo complesso, che è racchiuso sì nella parte dispositiva, ma per come strettamente delimitata dalla parte prescrittiva.
Nella fattispecie concreta, la quantità estrinseca davvero notevole e la qualità intrinseca delle numerose prescrizioni d’obbligo apposte – talune delle quali giungono a involgere qualificati contenuti progettuali – contrastano con le disposizioni normative in materia di tutela ambientale di cui al d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152. Difatti, in base all’art. 208, comma 1, del d.lgs. citato i soggetti che intendono realizzare e gestire nuovi impianti di smaltimento o di recupero di rifiuti (anche pericolosi) devono presentare apposita domanda “allegando il progetto definitivo dell’impianto” e tutta la documentazione tecnica prevista per la realizzazione del progetto stesso dalle disposizioni vigenti in materia urbanistica, di tutela ambientale, di salute e sicurezza sul lavoro e di igiene pubblica.
In pratica, il provvedimento di autorizzazione gravato ha finito per assentire alla realizzazione di un impianto di trattamento rifiuti, senza poterne però apprezzare i dettagli relativi al contenimento dell’impatto ambientale, perché questi sono stati fatti oggetto di un numero così rilevante di prescrizioni da “esternalizzare” in pratica la riprogettazione di una gran parte dell’impianto dal provvedimento e dal procedimento previsto dalla legge.
Va però considerato che l’A.I.A. si connota come una tipica autorizzazione costitutiva, in quanto è “concessa” per un tempo prestabilito (come letteralmente si esprime art. 208, comma 12, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152) e dunque non sussiste in capo al destinatario alcun precostituito diritto a ottenerla. Può essere rilasciata solo dopo che la pubblica amministrazione abbia valutato i vari interessi rilevanti, che vengono in evidenza nel corso dell’iter procedimentale.
Tuttavia, il provvedimento autorizzativo impugnato ha inteso trasferire all’esterno del procedimento la valutazione e la definizione di parti progettuali che invece dovevano esser già apprezzate ab interno, così finanche capovolgendo la stessa ratio formale e sostanziale di simili atti, che intendono per l’appunto valutare ex ante (e non già ex post) l’impatto ambientale e dunque saggiare in qual modo l’attività d’autorizzarsi possa inserirsi e con quali accorgimenti e mitigazioni in un dato “contesto ambientale”.
La disciplina normativa in materia richiede dunque che gli enti e/o gli organi (anche consultivi) si esprimano positivamente nel merito dell’incidenza ambientale e non invece che essi possano differire a posteriori e/o demandare ad altri, magari allo stesso imprenditore proponente, l’individuazione di soluzioni progettuali, nient’affatto secondarie, mai vagliate in via preventiva (Tar Lazio, sez. III, 4 maggio 2020, n. 4618).
Un simile modus procedendi peraltro deve intendersi precluso specie nel campo tecnico-specialistico, dov’è infatti l’amministrazione – e solo l’amministrazione – a doversi esprimere, approvando la soluzione tecnico-discrezionale ritenuta come ottimale nel caso concreto (Tar Umbria 1 febbraio 2021, n. 24).
A fortiori, va rimarcato che, a livello euro-unitario, in applicazione dei principi enunciati all’art. 174 TCE e all’art. 191 TFUE, è noto già da molto tempo come, nella materia ambientale, le autorizzazioni debbano rivestire contenuti espressi ed espliciti. Tant’è che il rilascio e la revoca delle autorizzazioni debbono risultare da un provvedimento esplicito e seguire regole procedurali precise (Corte giustizia U.E., 28 febbraio 1991, n. 360) e che le valutazioni ambientali hanno di norma carattere preventivo (Corte giustizia U.E., sez. I, 28 maggio 2020, n. 535).
In ultimo, va considerato che un provvedimento di tal genere, come quello oggetto di causa (ossia dal contenuto indeterminato, ma determinabile solo ex post, a seconda delle scelte progettuali, pur osservanti le prescrizioni imposte, ma prescelte autonomamente dall’operatore economico proponente), non sarebbe in grado di determinare il c.d. effetto variante della pianificazione urbanistica ed edilizia del luogo considerato, come contemplato dall’art. 208, comma 6, del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152.
Ciò in quanto la variante dello strumento urbanistico in questione è una variante parziale e speciale (e non già una variante generale). Essa presuppone una ponderazione motivata degli interessi puntuali coinvolti nella realizzazione dello specifico impianto effettivamente compiuta che si riflette nel provvedimento di autorizzazione espresso ed esplicito.
fonte: sito della Giustizia Amministrativa