Consiglio di Stato, Sez. II, Sent. 25.01.2024 n. 806
In linea generale, quindi, il proprietario non ha più alcun diritto a porre in essere la demolizione dopo la scadenza del termine dei 90 giorni, spettando alla discrezionalità dell’Amministrazione di valutare se coinvolgerlo ulteriormente nella stessa. Quanto alla possibilità di chiedere una sanatoria, l’art. 36, comma 1, del medesimo T.u.e., consente la presentazione della relativa istanza «fino alla scadenza dei termini di cui agli articoli 31, comma 3, 33, comma 1, 34, comma 1, e comunque fino all’irrogazione delle sanzioni amministrative» e dunque prima della scadenza del termine indicato per demolire o ridurre in pristino ovvero – nel caso in cui ciò non sia possibile – prima dell’irrogazione delle sanzioni previste in alternativa dagli articoli 33 e 34.
Le possibili variabili a tale -condiviso- schema ricostruttivo generale conseguono alle difficoltà dei Comuni di dare seguito alle sanzioni ripristinatorie, come dimostrato dalla sempre denunciata scarsa incidenza casistica degli abusi concretamente demoliti rispetto a quelli effettivamente accertati. Nella prassi, cioè, accade sovente che i provvedimenti ripristinatori rimangano lettera morta per incapacità, semplice inerzia, ovvero addirittura scelta consapevole dell’amministrazione procedente. La meccanicistica applicazione dei principi di diritto poc’anzi enunciati finirebbe dunque per determinare un incredibile quantitativo di situazioni nelle quali, a prescindere da qualsivoglia analisi del caso concreto, lo stato di diritto non corrisponde allo stato di fatto, a discapito delle più elementari esigenze di certezza delle situazioni giuridiche.
Vero è che la formulazione della norma non sembra lasciare spazio a momenti interruttivi della sequenza procedimentale che consegue all’avvenuta adozione dell’ingiunzione a demolire. Il Collegio ritiene tuttavia che l’effetto acquisitivo, seppure immediato, sia da considerare sottoposto ad una sorta di ineludibile condizione sospensiva, da ravvisare nel formale accertamento dell’inottemperanza, notificato «all’interessato» (art. 31, comma 4).
L’applicazione della sanzione ablatoria, peraltro, in ragione della sua massima afflittività, presuppone necessariamente l’apertura di una parentesi accertativa/informativa che da un lato consente all’amministrazione di verificare l’elemento materiale dell’illecito, dall’altro mette il suo autore in condizione di difendersi, potendo trattarsi del nudo proprietario, estraneo e finanche inconsapevole della prima fase del procedimento. Essa risponde dunque ad esigenze di garanzia di difesa, ma anche a logiche di risparmio, stante che l’avvenuta demolizione spontanea, seppure tardiva, soddisfa pienamente e a costo zero le esigenze di buon governo del territorio dell’Amministrazione vigilante.
Il rispetto di tali scansioni procedurali, dunque, lungi dal costituire baluardo meramente formale strumentalmente invocato per procrastinare, ovvero scongiurare, la demolizione dell’abuso, costituisce il giusto punto di incontro fra i contrapposti interessi tutelati dal legislatore, ovvero la salvaguardia dell’ordinato sviluppo del territorio, di cui il previo titolo edilizio costituisce garanzia primaria, e la tutela della proprietà, destinata comunque a recedere laddove il titolare non sacrifichi al suo mantenimento il doveroso ripristino spontaneo dello stato dei luoghi. Il che poi, sotto altro concorrente profilo, conduce a non svalutare il valore del verbale del sopralluogo, in genere demandato alla Polizia municipale, che constata l’omessa demolizione del manufatto abusivo. Per pacifica giurisprudenza esso costituisce un mero atto istruttorio endoprocedimentale che precede il provvedimento vero e proprio costituente titolo «per l’immissione nel possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari, che deve essere eseguita gratuitamente»; ma a detto verbale di sopralluogo deve essere attribuito anche il valore corrispondente, mutatis mutandis, al verbale di contestazione dell’illecito ex art. 14 della l. n. 689 del 1981, stante che è solo a far data dallo stesso che il proprietario viene messo in condizione di chiarire la propria posizione, scongiurando l’effetto acquisitivo (ma non, ovviamente, quello demolitorio). Solo così è possibile recuperare quel necessario elemento di raccordo tra i due snodi che tipicamente connotano ogni procedimento sanzionatorio, ovvero la fase affidata agli organi di vigilanza, deputata all’acquisizione di elementi istruttori, e la successiva, avente natura lato sensu contenziosa e decisoria, preordinata all’adozione, da parte dell’autorità titolare della potestà sanzionatoria, del provvedimento di irrogazione della stessa.
Nel contempo, le ricordate esigenze di certezza del diritto non possono tradursi in un effetto traslativo destinato a rimanere meramente virtuale ove non seguito, cioè, dai necessari e doverosi adempimenti formali. Ritiene dunque il Collegio che l’operatività “di diritto” dell’effetto acquisitivo allo scadere dei 90 giorni dall’ingiunzione demolitoria vada intesa esclusivamente a favore del Comune, ponendo il proprietario in una situazione di mera soggezione rispetto alle scelte del primo, che non gli consente più di demolire spontaneamente, salvo il primo non glielo consenta, espressamente o tacitamente, non addivenendo alla formazione del titolo sempre necessario per dare luogo ad un cambio di proprietà.