Consiglio di Stato, Sez. VII, Sent. 04.09.2024 n. 7382
Il problema sul quale le parti chiamano il Collegio a prendere posizione è quello dell’inquadramento giuridico delle modifiche al progetto di piano regolatore apportate dall’ente regionale al momento dell’approvazione dello strumento urbanistico generale, perché solo entro certi limiti le modifiche comportano la necessità per il Comune di riavviare il procedimento di approvazione dello strumento, con conseguente ripubblicazione dello stesso.
L’analisi deve muovere dalla constatazione che l’art. 10 della Legge urbanistica, riservando alla Regione il potere di approvazione del Piano urbanistico o di una sua variante apportando modifiche al progetto formulato dal Comune, in tanto ha un senso in quanto si ammetta che la pianificazione del territorio coinvolga interessi non essenzialmente locali, a tutela dei quali è, appunto, prevista una facoltà delle Regioni di dettare prescrizioni integrative.
Riepilogando un granitico orientamento giurisprudenziale, il C.G.A. Sicilia, 30/01/2023, n. 111, ha ricordato che “il Piano regolatore generale comunale, così come qualsivoglia strumento urbanistico, discende infatti dalla concorrente ma autonoma valutazione di due diverse autorità, quali – per l’appunto – il Comune e la Regione e, nell’ambito del relativo procedimento, il ruolo del Comune è, in linea di principio, preponderante, in quanto ad esso spetta l’iniziativa e la formulazione di una compiuta proposta, mediante l’adozione del progetto di piano; alla Regione, invece, spetta non solo di negare l’approvazione, ma anche di approvare il piano apportandogli, entro certi limiti e condizioni, modifiche non accettate dal Comune, così come prevede la disciplina di principio contenuta dall’art. 10 della L. 17 agosto 1942 n. 1150 e successive modifiche (cfr. sul punto, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 28 novembre 1994 n. 970)”.
“Ciò, peraltro, risulta conforme all’art. 13, comma 1, del t.u. approvato con D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, laddove si dispone – sempre per quanto qui segnatamente interessa – che “spettano al Comune tutte le funzioni amministrative che riguardano … la popolazione ed il territorio comunale, precipuamente nei settori organici … dell’assetto ed utilizzazione del territorio e dello sviluppo economico …, salvo quanto non sia espressamente attribuito ad altri soggetti dalla legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze”.
“In tale contesto, l’art. 10 della L. n. 1150 del 1942 e successive modifiche di per sé prevede che la Regione, all’atto dell’approvazione dello strumento urbanistico, può apportare a quest’ultimo le modifiche che non comportino sostanziali innovazioni, le modifiche conseguenti all’accoglimento di osservazioni presentate al piano ed accettate con deliberazione del Consiglio comunale, nonché le modifiche riconosciute indispensabili per assicurare il rispetto delle previsioni del piano territoriale regionale di coordinamento, la razionale sistemazione delle opere e degli impianti di interesse dello Stato, la tutela del paesaggio e dei complessi storici, monumentali, ambientali e archeologici, nonché l’adozione di standard urbanistici minimi”.
“In tal senso, quindi, la giurisprudenza ha distinto le modifiche cc.dd. “obbligatorie” dello strumento urbanistico (e, cioè, quelle indispensabili per la tutela del territorio), modifiche cc.dd. “concordate” (ossia conseguenti all’accoglimento di osservazioni da parte della Regione) e modifiche cc.dd. “facoltative”, le quali ultime, ai sensi del medesimo art. 10 della L. n. 1150 del 1942 e successive modifiche, non possono incidere sulle caratteristiche essenziali del piano stesso e sui suoi criteri di impostazione (in terminis, Cons. Stato, Sez. IV, 3 marzo 2009 n. 1214)”.
“Pertanto, la Regione, in sede di approvazione del piano regolatore generale, è dunque autorizzata a introdurre direttamente le modifiche e prescrizioni di cui alle lettere b), c) e d) dello stesso art. 10 L. n. 1150 del 1942 (ossia inerenti alla razionale e coordinata sistemazione delle opere e degli impianti di interesse dello Stato, alla tutela del paesaggio e di complessi storici, monumentali, ambientali ed archeologici; al rispetto delle ipotesi in cui è d’obbligo l’introduzione di una disciplina di pianificazione secondaria, ai limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza tra i fabbricati, nonché ai rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi), senza alcuna facoltà di controdeduzioni per il Comune e, quindi, senza necessità di porre in essere una procedura ad hoc di adeguamento (ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 8 giugno 2009 n. 3518 e 1 ottobre 2007 n. 5043)”.
“La giurisprudenza è, infatti, consolidata nell’affermare che “Alla regione è consentito, all’atto di approvazione dello strumento urbanistico, apportare modifiche allo stesso per assicurare il rispetto di altri strumenti di pianificazione regionali e per la tutela del paesaggio e dei complessi storici, monumentali, ambientali ed archeologici” (Cons. Stato, Sez. IV, 17 settembre 2013, n. 4614). Ed ancora: “l’intervento della Regione nel procedimento di approvazione dello strumento urbanistico o di una sua variante, volto ad ampliare le fasce di rispetto estendendo l’area degli effetti della tutela “puntiforme” del bene vincolato, in quanto espressione di un doveroso presidio del territorio…” (Cons. Stato Sez. II, 14 novembre 2019, n. 7839). È stato, altresì, riconosciuto che “le modifiche d’ufficio al Piano Regolatore Generale ex art. 10, comma 2, lett. e), della L. n. 1150 del 1942, sono sempre ammesse ai fini specifici della tutela del paesaggio e dell’ambiente in coerenza con l’interesse pubblico, sancito dalla legge, della salvaguardia delle caratteristiche ambientali del territorio e tale potere della Regione non soggiace al limite concernente il divieto di innovazioni sostanziali …” (questo Cons. giust. amm. Sicilia, 18 novembre 2009, n. 1098)”.
Ritiene il Collegio di dover condividere la predetta tesi giurisprudenziale e quindi la tesi della Regione Liguria, dovendosi quindi confermare sul punto la sentenza impugnata laddove ha escluso che la Regione Liguria sia incorsa in un cattivo uso del potere, attribuitole dall’art. 10 della L. n. 1150/1942, o abbia reso oltremodo gravosa la possibilità, per il ricorrente, di edificazione dei propri suoli.