TAR Marche – Ancona, Sez. I, Sent. 19.02.2024 n. 151
Con riguardo al secondo profilo, il Collegio ritiene sufficiente richiamare i principi ribaditi di recente dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella sentenza n. 12 del 2018, in cui il massimo organo della giustizia amministrativa, dopo aver esaminato anche le tesi più favorevoli ai privati affermate all’epoca dei fatti da alcune sentenze del C.G.A.R.S. (fra cui la n. 64/2007 richiamata in ricorso) ha avuto modo di precisare che:
– il contributo di costruzione rappresenta una compartecipazione del privato alla spesa pubblica occorrente alla realizzazione delle opere di urbanizzazione, ricollegata sul piano eziologico al surplus di opere di urbanizzazione che l’amministrazione comunale è tenuta a realizzare in relazione al nuovo intervento edificatorio posto in essere dal richiedente il titolo edilizio. Inoltre, il contributo per il rilascio del permesso di costruire ha natura di prestazione patrimoniale imposta, di carattere non tributario, ed ha carattere generale, prescindendo totalmente delle singole opere di urbanizzazione che devono in concreto eseguirsi, venendo altresì determinato indipendentemente sia dall’utilità che il concessionario ritrae dal titolo edificatorio sia dalle spese effettivamente occorrenti per realizzare dette opere;
– gli atti con i quali la pubblica amministrazione determina e liquida il contributo di costruzione di cui all’art. 16 del T.U. n. 380/2001 non hanno natura autoritativa, ma costituiscono l’esercizio di una facoltà connessa alla pretesa creditoria riconosciuta dalla legge in favore del Comune per il rilascio del permesso di costruire, stante la sua onerosità, nell’ambito di un rapporto obbligatorio a carattere paritetico e soggetta, in quanto tale, al termine di prescrizione decennale. Pertanto a tali atti non possono applicarsi né la disciplina dell’autotutela dettata dall’art. 21-nonies della L. n. 241/1990, né gli altri principi generali stabiliti dalla stessa legge n. 241 per gli atti di natura provvedimentale;
– il Comune può sempre rideterminare, sia a favore che a sfavore del privato, l’importo del contributo concessorio, in principio erroneamente liquidato, richiedendone o rimborsandone la differenza al titolare del permesso edilizio, sempre entro l’ordinario termine di prescrizione decennale, decorrente dalla data di rilascio del titolo edilizio. Il privato, pertanto, non è tenuto ad impugnare gli atti determinativi del contributo nel termine di decadenza, potendo ricorrere al giudice amministrativo, munito di giurisdizione esclusiva ai sensi dell’art. 133, comma 1, let. f), c.p.a., nel medesimo termine di dieci anni, anche con un’azione di mero accertamento;
– l’amministrazione comunale, nel richiedere gli importi dovuti a titolo di contributo di costruzione, rideterminati a seguito di liquidazione erronea iniziale, con atti non aventi natura autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato, ai sensi dell’art. 1, comma 1-bis, della L. n. 241/1990, ma si deve escludere l’applicabilità della disciplina dettata dal codice civile in materia di errore nella conclusione dei contratti, in quanto l’errore nella liquidazione del contributo compiuto dalla pubblica amministrazione non attiene ad elementi estranei o ignoti alla sfera del debitore ed è quindi per definizione un errore riconoscibile, in quanto o riguarda l’applicazione delle tabelle parametriche, che al privato sono o devono essere ben note, o è determinato da un mero errore di calcolo, ben percepibile dal privato;
– la tutela dell’affidamento e il principio della buona fede, che in via generale devono essere osservati anche dalla pubblica amministrazione dell’attuazione dei rapporti obbligatori, possono trovare applicazione ad una fattispecie come quella in esame solo nella eccezionale ipotesi in cui la conoscibilità e la verificabilità non siano possibili con l’ordinaria diligenza richiesta al debitore, secondo buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.), nell’ottica di una leale collaborazione volta all’attuazione del rapporto obbligatorio e al soddisfacimento dell’interesse creditorio vantato dal Comune. Al riguardo, però, si è già detto in precedenza che nella specie non può riconoscersi in capo alla ricorrente un legittimo affidamento, visto che all’epoca del rilascio della concessione edilizia n. 19 del 2000 esistevano già numerose pronunce del G.A., ed in particolare del T.A.R. Marche, che in casi analoghi avevano affermato l’onerosità della concessione.