TAR Campania – Napoli, Sez. VII, Sent. 30.10.2024 n. 5816
Una siffatta disciplina è del resto compatibile con i principi da tempo consolidati nella giurisprudenza amministrativa in materia di cambio di destinazione d’uso: “salva diversa previsione da parte delle leggi regionali, costituisce mutamento rilevante della destinazione d’uso ogni forma di utilizzo dell’immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, ancorché non accompagnata dall’esecuzione di opere edilizie, purché tale da comportare l’assegnazione dell’immobile o dell’unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale tra quelle sotto elencate: a) residenziale; a-bis) turistico-ricettiva; b) produttiva e direzionale; c) commerciale; d) rurale [art. 23ter co. 1 D.p.R. 380/01] […] la giurisprudenza interpreta la norma de qua in modo rigoroso, ritenendo che il cambio di destinazione d’uso abbia tendenzialmente una giuridica apprezzabilità e, come tale, non possa essere liberamente eseguito previa CILA, ma debba essere assentito mediante permesso di costruire (TAR, Sez. II, n. 451 del 18.02.202); afferma, infatti, che il mutamento di destinazione d’uso giuridicamente rilevante, assentibile solo mediante permesso di costruire, in presenza o meno di opere edilizie, sia quello tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico ed influisce, in via conseguenziale e automatica, sul carico urbanistico senza necessità di ulteriori accertamenti in concreto, poiché la semplificazione delle attività, voluta dal legislatore, non si è spinta fino al punto di rendere tra loro omogenee tutte le categorie funzionali, le quali rimangono sostanzialmente non assimilabili anche in caso di mancato incremento degli standard urbanistici, a conferma della scelta già operata con il D.M. 1444/1968 (Tar Napoli, Sez. VII, 27.04.2020, n. 1496; Consiglio di Stato sez. IV, 13/11/2018, n.6388)” (cfr., TAR Salerno, sent. n. 1554/2021).