Realizzazione piscina: quando è considerata pertinenza?

TAR Sicilia – Palermo, Sez. IV, Sent. 03.02.2025 n. 288

Sul punto, appare utile richiamare il recentissimo arresto del C.G.A.R.S. (sentenza n. 926/2024) che ha dato conto del contrasto giurisprudenziale esistente in tema di qualificazione giuridica delle piscine, ed ha adottato una propria linea interpretativa al riguardo, che il Collegio ritiene di poter condividere.

In particolare, si legge nella citata sentenza: “Il Collegio ritiene condivisibile l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui per distinguere tra la qualificazione della piscina quale nuova opera edilizia, ovvero invece quale pertinenza, non ci si debba affidare ad astratte affermazioni di principio, ma sia necessario esaminare, volta per volta, le specifiche caratteristiche e dimensioni delle opere in scrutinio.

Deve condividersi, in punto di diritto, quanto ritenuto dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 6644 del 2019 secondo cui “l’installazione di una piscina di non rilevanti dimensioni rientra nell’ambito delle pertinenze e non integra violazione né degli indici di copertura né degli standard, atteso che non aumenta il carico urbanistico della zona e che i vani per impianti tecnologici sono sempre e comunque consentiti (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. V, 16/4/2014, n. 1951);

– in tale ottica, in linea generale una piscina realizzata in una proprietà privata a corredo esclusivo della stessa non possiede un’autonomia immobiliare, ma deve considerarsi quale pertinenza dell’immobile principale esistente, essendo destinata a servizio dello stesso.

(…)

assumano rilievo dirimente le dimensioni della piscina: che, secondo un orientamento consolidato, risulterà di natura pertinenziale solo qualora esse possano considerarsi “non rilevanti”.

Ciò in quanto, secondo la prevalente giurisprudenza, per essere considerata pertinenziale la piscina deve essere di “non rilevanti dimensioni” (meglio ancora, se di dimensioni contenute, o “piccole”).

Il Collegio non intende affatto di discostarsi da siffatti parametri esegetici; tuttavia – per le ragioni di ordine sistematico che saranno approfondite infra – ritiene che, ai fini della valutazione della “rilevanza” delle misure delle piscine, la più appropriata unità di misura non sia il metro quadrato (ossia la superficie dello specchio acqueo), bensì il metro lineare (vale a dire la lunghezza del massimo segmento di retta percorribile da un nuotatore tra i due punti più distanti della piscina).

18.1. È noto come, di solito per giudicare le dimensioni di una piscina ci si affidi alla misurazione della superficie della stessa (risultante, nelle piscine rettangolari, dal prodotto di larghezza per lunghezza).

Il Collegio, viceversa, non ritiene tale criterio pienamente perspicuo, rispetto alla finalità di verifica della pertinenzialità che si è chiamati a svolgere, tenuto conto anche del fatto che le piscine (soprattutto quelle che pretendano di essere ritenute pertinenziali) non sempre hanno la forma di un quadrato o di un rettangolo.

(…)

In altri termini, finché una piscina – in ragione delle sue contenute dimensioni – sia inadatta al nuoto, anche amatoriale, ma unicamente sia idonea a consentire all’utilizzatore della cosa principale di rinfrescarsi o di sguazzare con intento esclusivamente ludico, ritiene il Collegio che essa non ecceda la funzione pertinenziale (anche in senso urbanistico) rispetto alla costruzione principale.

(…)

In proposito, la proposta esegetica che questo Collegio ritiene di formulare – applicandola al caso di specie – muove dal confronto con la misura della lunghezza delle corsie della piscina c.d. olimpionica, pari a m. 50: di cui certamente non è opinabile la piena attitudine al nuoto, in ogni sua manifestazione.

Nondimeno, almeno a livello preagonistico e amatoriale, è comunemente considerata idonea al nuoto anche la lunghezza delle corsie nella piscina c.d. semiolimpica, pari a m. 25 (c.d. “vasca corta”).

Ulteriormente, il Collegio ritiene di poter ravvisare un’analoga attitudine, pur se solo a livello amatoriale, in corsie di lunghezza pari alla metà di quest’ultima (m. 12,50).

Al di sotto di tale misura, viceversa, sembra potersi ragionevolmente dubitare della attitudine natatoria del manufatto (allorché la spinta di partenza e la capriola di fine vasca vadano ad assorbire la maggior parte della lunghezza che un nuotatore potrebbe percorrere).

Tutte tali lunghezze, secondo quanto si è già detto, andranno comunque misurate non già sul lato maggiore, bensì sulla diagonale o sul diametro massimi che siano tracciabili sulla superficie acquea.

La proposta esegetica che ne scaturisce è, dunque, quella di considerare strutturalmente non idonee all’attività natatoria, anche meramente amatoriale, le piscine in cui la massima misura riscontrabile (i.e. diagonale maggiore o diametro massimo: che, notoriamente, collegano in linea retta i punti più distanti tra loro di una qualsiasi forma geometrica, sia poligonale che curviforme) sia contenuta in un segmento di retta di lunghezza non eccedente m. 12.

Esemplificando, ciò significa che (per una piscina rettangolare, cui è applicabile il teorema di Pitagora) la natura pertinenziale postula (fra l’altro) che la somma dei quadrati costruiti sul lato maggiore e sul lato minore non dovrà eccedere la superficie di mq. 144; nonché (per una piscina pertinenziale di forma irregolare) che sulla sua superficie non sia tracciabile alcun segmento di retta eccedente la lunghezza di m. 12.”

(…)

Non venendo in rilievo nella vicenda de qua la presenza di vincoli (che sarebbero stati ostativi, se assoluti; o che avrebbero postulato, se relativi, il n.o. dell’autorità preposta), la misura della piscina – secondo la proposta esegetica che il Collegio qui coltiva e fa propria – non osta alla sua qualificazione in termini di pertinenzialità rispetto all’edificio principale.”.