Consiglio di Stato, Sez. II, Sent. 02.11.2023 n. 9415
Il Collegio ritiene a questo punto necessario un, sia pur sintetico, richiamo a ciò che la dottrina e la giurisprudenza riconducono al concetto di “autotutela doverosa”. Con tale espressione, che in realtà sembra riassumere in sé una contraddizione in termini rispetto alla ontologica discrezionalità che connota per regola l’istituto, si intende far riferimento a quelle situazioni in presenza delle quali il potere di riesame dei propri atti da parte della pubblica amministrazione è, appunto, dovuto, tassativamente individuate dal legislatore, ovvero declinate in maniera altrettanto precisa in via pretoria.
Sulla possibilità di introdurre ipotesi siffatte a livello normativo il giudice delle leggi si era già espresso ancor prima dell’introduzione nella l. n. 241 del 1990 del Capo IV-bis, risalente alla riforma del 2005: chiamata a pronunciarsi sull’art. 6, comma 17, l. n. 127 del 1997, recante l’obbligo per gli enti locali di autoannullare i propri provvedimenti di inquadramento del personale illegittimi (in verità non a regime ma “a sanatoria” entro una certa data), la Corte costituzionale ebbe infatti modo di affermare che «in via di principio, il momento discrezionale del potere della pubblica amministrazione di annullare i propri provvedimenti non gode in sé di copertura costituzionale. Lo strumento dell’autotutela deve sempre essere valutato nel quadro dei princìpi di imparzialità, di efficienza e, soprattutto, di legalità dell’azione amministrativa, espressi dall’art. 97 Cost.» (Corte cost., 22 marzo 2000, n. 75).
L’evoluzione del contesto socio-economico, prima che giuridico, ha mutato radicalmente l’approccio alla tematica del riesame degli atti amministrativi, circoscrivendone i casi di “doverosità”. Ciò nella direzione di valorizzare la tempestività e completezza dell’istruttoria delle domande dei privati all’atto della loro presentazione, in una visione necessariamente responsabilizzante delle Amministrazioni pubbliche.
I casi di autotutela doverosa normativamente previsti, dunque, sono stati via via eliminati dall’ordinamento, riducendosi ormai a singole e sporadiche ipotesi: si pensi all’abrogazione della previsione, in passato di ampia incidenza casistica, di cui all’art. 1, comma 136, della l. 30 dicembre 2004, n. 311,che faceva obbligo alla P.A. di annullare i provvedimenti illegittimi comportanti oneri finanziari, fatta eccezione per quelli incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali efficaci da più di tre anni ad opera dell’art. 6, comma 2, della l.7 agosto 2015, n. 124; ovvero, al contrario, a quanto ancora oggi previsto dall’art. 94 del codice antimafia, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, che impone, ove successivamente alla stipula del contratto siano accertati tentativi di infiltrazione mafiosa, oppure emergano cause correlate di decadenza, di sospensione o di divieto, alle stazioni appaltanti di revocare le autorizzazioni e le concessioni o di recedere dai contratti. Ma un esempio ancor più lampante è rinvenibile proprio nella disciplina dei controlli in materia di s.c.i.a., che ove travalichino la tempistica assegnata in via per così dire “ordinaria” (sessanta o trenta giorni, a seconda che si tratti o meno di materia edilizia), impone (non facoltizza) l’adozione dei provvedimenti conformativi, sospensivi o inibitori «in presenza delle condizioni previste dall’art. 21-novies», e dunque in primo luogo nel rispetto del limite temporale (oggi) di dodici mesi (sul concetto di “autotutela doverosa” in materia di s.c.i.a., comunque limitata all’an e non estesa al quomodo, v. Cons. Stato, sez. II, 7 marzo 2023, n. 2371; sez. VI, 8 luglio 2021, n. 5208).
Accanto ai casi di autotutela doverosa “totale”, la dottrina più accorta teorizza la sussistenza di un’autonoma categoria di “autotutela doverosa parziale”, consistente nella mera dequotazione del termine ragionevole per procedere all’annullamento d’ufficio, come noto pari ormai a dodici mesi per i casi di autorizzazioni o atti che accordano benefici economici. Ciò può avvenire stabilendone in via autonoma uno diverso (quale quello di dieci anni accordato alla Regione dall’art. 39 del T.u.e. per l’annullamento di deliberazioni e provvedimenti autorizzatori comunali) ovvero semplicemente prescindendone. A tale seconda categoria è sicuramente da ricondurre il caso in esame per come declinato dal legislatore.
La giurisprudenza ha poi individuato casi nei quali l’autotutela diviene strumento di garanzia di supremi valori ed interessi dell’ordinamento contro la consolidazione degli effetti d’un atto illegittimo ed ingiusto, seppure non tempestivamente revocato o annullato, in verità riconducendo allo stesso anche la fattispecie oggi in esame.
Come già detto, il Collegio ritiene che l’art. 21-novies, comma 2-bis, della l. n. 241 del 1990 declini sicuramente un caso di autotutela doverosa parziale, nell’accezione sopra chiarita, ovvero nel senso di consentire all’Amministrazione il suo esercizio anche oltre i termini fissati dal legislatore.
L’uso lessicale del verbo servile potere («possono essere annullati»), anziché dell’indicativo presente del verbo essere (“sono annullati”), pare inequivoco nel rendere l’accertamento penale irrevocabile del falso insufficiente ad imporre l’annullamento dell’atto, dovendo essere effettuate comunque anche le ulteriori verifiche previste dalla norma, fermo restando che nel caso di specie non si porranno esigenze di tutela dell’affidamento del dichiarante il falso o del diretto (e consapevole) beneficiario dello stesso. Ciò a maggior ragione ove si consideri che presumibilmente il giudicato di condanna interverrà dopo un lasso di tempo consistente dall’adozione dell’atto ampliativo, sicché l’Amministrazione non potrà esimersi dal valutare l’incidenza del fattore temporale sulla decisione relativa all’annullamento d’ufficio, tornando ad espandersi anche, si ritiene, l’operatività della ragionevolezza del termine. E tuttavia la scelta del legislatore di derogare al limite temporale di esercizio dell’autotutela non può rimanere priva di conseguenze sul piano della doverosità dell’attivazione delle necessarie verifiche. La possibilità, cioè, che si riediti il proprio potere anche a distanza di molto tempo, come tipicamente avviene nel caso del giudicato penale di falso, implica necessariamente che una valutazione delle conseguenze dello stesso sulla (eventuale) conservazione del titolo venga effettuata, seppure a potenziale discapito delle esigenze di certezza delle posizioni giuridiche ormai consolidate nel tempo. Da qui la correttezza, ritiene il Collegio, dell’utilizzo del termine “autotutela doverosa”, essendo essa tale anche a distanza di anni nell’accezione di imporre il riesame e conseguentemente riscontrare la relativa richiesta avanzata dal terzo interessato in tal senso, senza vincolarne gli esiti.