Cambio di destinazione d’uso: gli elementi sintomatici vanno valutati caso per caso

Consiglio di Stato, Sez. VI, Sent. 15.07.2024 n. 6356

In materia di rilevanza del mutamento di destinazione d’uso, con la realizzazione di opere o senza, ai fini dell’irrogazione della sanzione demolitoria, con riferimento alla normativa vigente all’epoca dei fatti qui di interesse, va rammentato che la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato aveva raggiunto un unanime approdo interpretativo ritenendo che, in linea generale, il mutamento di destinazione d’uso di un fabbricato ha per effetto il passaggio da una categoria funzionalmente autonoma dal punto di vista urbanistico ad un’altra e si traduce in un differente carico urbanistico, con la precisazione che lo stesso a volte avviene senza la realizzazione di opere a seguito del mero mutamento d’uso dell’immobile, altre volte si caratterizza per la realizzazione di quelle opere in assenza delle quali l’immobile non può soddisfare quella diversa funzionalità che comporta il passaggio da una categoria funzionalmente autonoma dal punto di vista urbanistico ad un’altra. Il mutamento di destinazione d’uso può avere corso solo nel rispetto della disciplina urbanistica vigente (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 30 giugno 2014 n. 3279).

Il presupposto del mutamento di destinazione d’uso giuridicamente rilevante ai fini dell’eventuale adozione della sanzione è che l’uso diverso, anche senza opere a ciò preordinate, comporti un maggior peso urbanistico effettivamente incidente sul tessuto urbano. L’aggravio di servizi – quali, ad esempio, il pregiudizio alla viabilità ed al traffico ordinario nella zona, il maggior numero di parcheggi nelle aree antistanti o prossime l’immobile – è l’ubi consistam del mutamento di destinazione che giustifica la repressione dell’alterazione del territorio in conseguenza dell’incremento del carico urbanistico come originariamente divisato, nella pianificazione del tessuto urbano, dall’amministrazione locale e su queste basi, il mutamento di destinazione d’uso giuridicamente rilevante è soltanto quello intervenuto tra categorie funzionalmente autonome sotto il profilo urbanistico (cfr., sul tema, Cons. Stato, Sez. VI 25 settembre 2017 n. 4469).

In argomento il Collegio tiene a precisare che, in linea di massima, la modifica di destinazione d’uso che si risolve in una trasformazione urbanistica costituisce nuova costruzione (art. 3, comma 1, lett. e) d.P.R. 380/2001). In passato, l’individuazione degli indici della trasformazione urbanistica veniva basata dalla giurisprudenza sul criterio dell’incidenza incidenza e del pregiudizio in concreto agli standard urbanistici e alle dotazioni territoriali.

Con l’introduzione delle categorie di destinazione urbanistica ad opera del c.d. decreto Sblocca Italia (d.l. 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla l. 11 novembre 2014, n. 164) tramite l’inserimento dell’articolo 23-ter nel Testo unico per l’edilizia, si è cercato di precostituire a monte le situazioni con riferimento alle quali il carico urbanistico si presuppone omogeneo, indirettamente suggerendo anche una certa uniformità terminologica nella declinazione delle funzioni da parte degli Enti locali nei vari strumenti di governo del territorio. La disposizione, dunque, le riduce a cinque (residenziale, turistico-ricettiva, produttiva e direzionale, commerciale e rurale), all’interno di ciascuna delle quali, almeno in termini astratti e generali, il carico urbanistico si presume analogo, sicché assume rilevanza solo il passaggio dall’una all’altra, quand’anche non accompagnato dall’esecuzione di opere edilizie. La legislazione regionale e ancor più in dettaglio gli strumenti urbanistici comunali dettano indicazioni esplicative, che tuttavia, come precisato dal giudice delle leggi, non possono mai risolversi nella soppressione di talune categorie, riducendone il numero (v. Corte cost., 23 gennaio 2018 n. 68, ove si è ricordato che l’accorpamento delle categorie funzionali determina l’esclusione della “rilevanza urbanistica” dei mutamenti di destinazione d’uso interni alle stesse e, quindi, della loro assoggettabilità a titoli abilitativi, in contrasto con la normativa statale di principio e con conseguente incisione dell’ambito di applicazione delle sanzioni previste dal legislatore statale nell’esercizio della competenza esclusiva in materia di “ordinamento civile e penale”, di cui all’art. 117, secondo comma, lett. l), della Costituzione).

L’introduzione delle categorie, per la sua portata assorbente della valutata incidenza sul carico urbanistico, ha fatto perdere un po’ di significatività alla già cennata distinzione, tradizionalmente operata in dottrina e giurisprudenza, tra modifiche di destinazione d’uso funzionali o senza opere e modifiche di destinazione d’uso realizzate tramite le stesse. Ciò che conta, infatti, è non tanto la modalità di realizzazione del cambio, ma gli effetti che produce.

Da ciò può dunque affermarsi che l’individuazione di elementi sintomatici si rende necessaria a stabilire se in concreto cambio c’è stato o meno ed essi vanno individuati caso per caso, a partire proprio da quelle dotazioni che, a maggior ragione ove consistite non in elementi di arredo ma in fattori strutturali, tradizionalmente connotano un determinato utilizzo del bene, in quanto necessarie allo scopo.