Consiglio di Stato, Sez. VII, Sent. 15.09.2023 n. 8358
Come osservato dal giudice di prime cure “le costruzioni interrate, in via generale, sono annoverabili nella nozione di nuova costruzione, quando, per la loro incidenza sull’assetto urbanistico, comportano una trasformazione del territorio. In tali casi è necessaria la concessione edilizia, ora permesso a costruire (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, 05/09/2017, n. 4243)”.
Infatti, come anche di recente ritenuto da questo Consiglio di Stato, in materia urbanistico-edilizia, relativamente alla definizione degli interventi edilizi, la definizione contenuta nell’art. 3, comma 1, n. 1, del D.P.R n. 380 del 2001 include nella nozione di “interventi di nuova costruzione” la costruzione di “manufatti edilizi fuori terra o interrati”, a conferma del fatto che è indifferente la collocazione dell’edificio al di sotto del piano di campagna, e che solo in via eccezionale è consentito a livello amministrativo di non computare piani interrati di edifici per il resto realizzati fuori terra (Cons. Stato Sez. VII, 09/02/2023, n. 1440).
Da ciò la correttezza in parte qua della sentenza di prime cure, che ha evidenziato come la richiesta sanatoria non potesse essere giustificata qualificando l’intervento de quo, per la parte non al di sotto del fabbricato fuori terra legittimamente assentito, quale vespaio, dovendo intendersi come tale uno spazio (che può essere costituito anche da un volume di significative dimensioni) avente come precipuo scopo quello di proteggere l’edificio sovrastante, isolandolo dall’umidità proveniente dal terreno; ciò avuto altresì riguardo alla circostanza che l’art. 75 del R.E. del Comune resistente, da quest’ultimo richiamato specificamente nel provvedimento gravato in prime cure prevede che “tutti gli edifici” nonché i “locali al piano terra devono essere impostati su vespaio ventilato di almeno cm 30”.
Neppure può essere condivisa la prospettazione di parte appellante secondo cui il locale de quo, in quanto riempito di terra, sarebbe del tutto irrilevante da un punto di vista edilizio.
[…] Il riempimento con terreno di un volume interrato non può essere certamente equiparato ad una “rimozione”, e men che meno ad una demolizione o ad un ripristino dello stato dei luoghi. Inoltre, occorre considerare che il riempimento del volume con terreno non determina affatto l’inutilizzabilità definitiva dell’opera: i ricorrenti ben potrebbero, in futuro, rimuovere il terreno e recuperare la possibilità di utilizzo del volume