TAR Lazio – Roma, Sez. II-quater, Sent. 07.12.2023 n. 18386
È ben vero, infatti, che l’art. 6-bis del d.P.R. n. 380 del 2001, nel delineare la CILA quale regime abilitativo generale e residuale per gli interventi non inclusi nell’attività edilizia libera (art. 6), nelle ipotesi in cui è richiesto il permesso di costruire (art. 10) e nei casi in cui è prevista la segnalazione certificata di inizio attività (art. 22), non disciplina uno specifico e sistematico procedimento di controllo successivo ancorato a schemi e tempistiche predeterminate, come accade invece in caso di SCIA sulla base del paradigma di cui all’art. 19 della legge n. 241 del 1990 che prevede l’adozione da parte dell’amministrazione di appositi provvedimenti conformativi e inibitori. Nondimeno, va considerato che restano in ogni caso fermi in capo al Comune, e devono essere doverosamente esercitati, i generali poteri di vigilanza e repressione in materia urbanistico-edilizia di cui all’art. 27, commi 1 e 2, del d.P.R. n. 380 del 2001. Ed è a tali poteri che, in un’ottica sostanzialistica, deve essere ricondotto, ad avviso del Collegio, il provvedimento adottato dal Comune di Tarquinia nel caso di specie, con il quale, in sostanza, l’ente locale, rilevato che i lavori per i quali era stata presentata la CILAS riguardavano un fabbricato interessato da difformità edilizie rispetto all’originario titolo abilitativo, il che peraltro emergeva sulla base di quanto dichiarato dallo stesso Condominio istante, avendo lo stesso contestualmente presentato apposita SCIA in sanatoria, ha inteso agire tempestivamente affinché non si consolidasse, sul piano degli effetti materiali, un’ulteriore situazione di abuso, disponendo “il divieto di prosecuzione dei lavori e il ripristino di quanto già eventualmente realizzato”.
Sul punto, dunque, il Collegio – pur non ignorando l’esistenza di pronunce che si sono espresse nel senso della nullità dell’atto recante un “diniego di CILA”, in quanto espressivo di un potere non tipizzato nell’art. 6-bis del d.P.R. n. 380 del 2001 (cfr. T.A.R. Campania, Salerno, Sez. II, 18 novembre 2022, n. 3101 e T.A.R. Sicilia, Sez. II, 15 giugno 2020, n. 1179; nel senso invece dell’illegittimità, ma sempre in ragione dell’atipicità del potere esercitato, cfr. T.A.R. Lazio, Latina, Sez. II, 15 giugno 2023, n. 424), nonché di pronunce che, proprio valorizzando l’elemento della non rispondenza ad alcun potere normativamente tipizzato, concludono per la natura non provvedimentale dell’atto con conseguente inammissibilità del ricorso (T.A.R. Toscana, Sez. III, 10 novembre 2016, n. 1625) – ritiene di confermare il diverso orientamento già espresso dalla Sezione (T.A.R. Lazio, Sez. II quater, 20 settembre 2019, n. 11155), secondo cui l’esercizio del potere di vigilanza contro gli abusi edilizi delineato in via generale dall’art. 27 del d.P.R. n. 380 del 2001 ben può consistere “nel semplice rilievo, non soggetto a termini o procedure particolari e comunque non rientrante nell’ambito di applicazione dell’art. 21-nonies della L. n. 241 del 1990, dell’inefficacia della CILA in vista della sospensione dei lavori e dell’adozione dei conseguenti provvedimenti repressivi”(in tal senso, Cons. St., Sez. VII, 28 aprile 2023, n. 4327; T.A.R. Campania, Sez. IV, 9 marzo 2023, n. 1548; T.A.R. Lazio, Latina, Sez. I, 6 giugno 2022, n. 517).