Consiglio di Stato, Sez. IV, Sent. 17.05.2023 n. 4933
In materia ambientale e paesaggistica non si può procedere per silenzio-assenso bensì per provvedimenti espliciti (art. 20, comma 4, legge n. 241 del 1990).
Secondo costante giurisprudenza, tenuto conto altresì della normativa statale e regionale ratione temporis vigente, la distanza minima di dieci metri tra edifici antistanti (fissata dall’art. 9, d.m. n. 1444/1968) aveva carattere inderogabile, in quanto norma imperativa volta a predeterminare in via generale le distanze tra le costruzioni, in considerazione delle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e di sicurezza (Cons. Stato, n. 7029/2021, n. 3093/2017, n. 2086/2017, n. 856/2016; Cass., civ., n. 23136/2016).
Più in particolare, la citata giurisprudenza ha chiarito che i limiti fissati nel suddetto decreto integrano il regime delle distanze nelle costruzioni con efficacia precettiva, in quanto perseguono l’interesse pubblico di tutela igienico sanitaria collettiva, e non la tutela del diritto dominicale dei proprietari degli immobili confinanti alla nuova costruzione (regolata e tutelata, invece, dal codice civile).
Ragion per cui, le distanze (10 mt) tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti devono ritenersi inderogabili, come tali vincolanti sia per i comuni in sede di formazione o revisione degli strumenti urbanistici (Cons. di Stato n. 7029/2021), sia per i privati (i confinanti non potrebbero, con patti stipulati tra loro, derogarle).
Tale illegittimità comporta per il giudice l’obbligo di applicare la norma di livello superiore, secondo il criterio di gerarchia materiale delle fonti, disapplicando la norma regolamentare in contrasto con la norma di rango superiore e inderogabile.