Obbligo di notificare l’avviso di avvio del procedimento anche per i provvedimenti vincolati

TAR Puglia – Bari, Sez. III, Sent. 07.01.2025 n. 9

Per quanto più direttamente interessa l’odierno gravame, va rilevato che, con la prima censura posta, il ricorrente lamenta, tra l’altro, la violazione dell’art. 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241.

Infatti, all’esito di complessa vicenda penale, il Comune ha inteso rieditare l’ordine di demolizione, in toto obliterando l’inoltro dell’avviso, di cui all’art. 7 (Comunicazione di avvio del procedimento) della legge del 7 agosto 1990, n. 241, secondo il quale: “Ove non sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento, l’avvio del procedimento stesso è comunicato […] ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti ed a quelli che per legge debbono intervenirvi […]”.

E, invero, il provvedimento impugnato riepiloga le caratteristiche della costruzione e non dà atto né dello svolgimento di nuovi approfondimenti istruttori (anche tecnici), né di aver garantito ai soggetti ingiunti la partecipazione al procedimento.

Pur rintracciandosi giurisprudenza, che non richiede in modo indefettibile un siffatto avviso, ove si tratti di contrastare abusi edilizi o rigettare c.d. condoni edilizi, vero è però che, qualora la fattispecie concreta richieda particolare approfondimento (ex multis: Cons. St., sez. VI, 1° giugno 2023, n. 5433; Cons. St., sez. VI, 7 maggio 2018, n. 2708), non vi siano ragioni di alcuna urgenza e la repressione dell’illecito edilizio non sia perlomeno in toto ineluttabile, l’amministrazione è tenuta a dar corso alle doverose comunicazioni partecipative, onde assicurare vieppiù i principi di nuovo conio della (fattiva) collaborazione e buona fede, come introdotti dall’art. 12, comma 1, lett. 0a), del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modif., dalla legge 11 settembre 2020, n. 120 («Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitali») all’art. 1 (Principi generali dell’attività amministrativa) della legge n. 241 del 1990 citata, al comma 2-bis, secondo cui “I rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai princìpi della collaborazione e della buona fede” (in tal senso, cfr. Cons. St., sez. VI, 16 gennaio 2023, n. 483).

Peraltro, l’indirizzo più recente della giurisprudenza (Cons. St., sez. III, 7 novembre 2024, n. 8908) ritiene che: “Il confronto procedimentale con l’interessato è necessario e imprescindibile, agli effetti della legittimità del provvedimento, anche nelle ipotesi di provvedimenti vincolati, allorquando l’apporto partecipativo sia utile per giungere ad un accertamento dei presupposti di fatto del provvedimento stesso che richieda un’istruttoria specifica. La natura vincolata del provvedimento amministrativo non vale ad esimere dall’osservanza delle garanzie partecipative, a partire proprio dalla comunicazione di avvio del procedimento, se si verte in situazioni peculiari e giuridicamente complesse. Pertanto, l’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento opera anche nell’ipotesi di provvedimenti a contenuto totalmente vincolato, atteso che la pretesa partecipativa del privato riguarda anche l’accertamento e la valutazione dei presupposti sui quali si deve comunque fondare la determinazione amministrativa (inoltre, in senso conforme, altresì: Cons. St., sez. VI, 23 aprile 2024, n. 3710; sez. III, 14 settembre 2021, n. 6288; sez. V, 22 dicembre 2014, n. 6235).

Con più diretto riferimento al fenomeno del c.d. “non finito architettonico”, ossia alle varie forme di mancato completamento di costruzioni o di complessi edilizi, in possesso di requisiti strutturali di autonomia funzionale, inoltre, recente sentenza della giurisprudenza ammnistrativa (Cons. St., Ad. plen., 30 luglio 2024, n. 14) ha evidenziato come siffatte costruzioni possano essere suscettibili di autonoma considerazione: “qualora il permesso di costruire abbia previsto la realizzazione di una pluralità di costruzioni funzionalmente autonome (ad esempio villette) che siano rispondenti al permesso di costruire considerando il titolo edificatorio in modo frazionato, gli immobili edificati […] devono intendersi supportati da un titolo idoneo, anche se i manufatti realizzati non siano totalmente completati, ma – in quanto caratterizzati da tutti gli elementi costitutivi ed essenziali – necessitino solo di opere minori che non richiedono il rilascio di un nuovo permesso di costruire”; peraltro precisandosi che: “qualora […] le opere incomplete, ma funzionalmente autonome, presentino difformità non qualificabili come gravi, l’Amministrazione potrà adottare la sanzione recata dall’art. 34 del T.U.”; infine che “è fatta salva la possibilità per la parte interessata, ove ne sussistano tutti i presupposti, di ottenere un titolo che consenta di conservare l’esistente e di chiedere l’accertamento di conformità ex art. 36 del T.U. nel caso di opere “minori” (quanto a perimetro, volumi, altezze) rispetto a quelle assentite, in modo da dotare il manufatto – di per sé funzionale e fruibile – di un titolo idoneo, quanto alla sua regolarità urbanistica”.

È, inoltre, vero che il recente decreto-legge 29 maggio 2024, n. 69, conv., con mod., dalla legge 24 luglio 2024, n. 105 (c.d. decreto salva-casa) ha in più punti modificato il d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (t. u. edilizia), ampliando, in presenza di tassativi presupposti e previa domanda di parte, le fattispecie di sanatoria delle difformità edilizie e meglio specificato le c.d. tolleranze costruttive; talché, in considerazione della particolare difformità di volta in volta riscontrata, va consentito, in un’ottica di semplificazione dell’azione amministrativa, un adeguato spatium deliberandi al proprietario del bene immobile, al fine di consentirgli di assumere una ponderata posizione, in particolar modo qualora costui non risulti l’autore delle difformità, per aver conseguito il manufatto con difformità edilizie a titolo derivativo. E tale spazio può ben essere assicurato, applicando il previsto istituto dell’avviso di inizio del procedimento, di cui all’art. 7 della legge n. 241 del 1990, che definisce la fase d’iniziativa del provvedere in ispecie quando sia ex officio.

Tra l’altro, in special modo, ma non soltanto, per gli abusi risalenti nel tempo, l’inoltro dell’avviso, di cui all’art. 7 della legge n. 241 citata, consente di meglio approfondire l’epoca della costruzione, sia al fine di comprendere meglio qual sia il regime giuridico in ordine al titolo edilizio assente o carente del caso di specie, sia allo scopo di applicare il regime repressivo predicabile in concreto, per come esso è mutato e si è evoluto nel tempo, a partire dalla fondamentale legge 17 agosto 1942, n. 1150 (“Legge urbanistica”), passando oltre per le successive modifiche intervenute, fino a giungere alla legge 28 febbraio 1985, n. 47 (“Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie”), e per terminare con il testo unico di cui al d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (cfr. amplius T.A.R. Puglia, sez. III, 12 luglio 2024, n. 844).

In verità, la partecipazione al procedimento, voluta dal legislatore, al fine di assicurare la trasparenza dell’attività amministrativa, salvo ove osti l’urgenza, specie se può condurre all’adozione di un atto amministrativo sfavorevole, costituisce un principio generale dell’azione amministrativa, che non può essere sminuito nella sua rilevanza intrinseca ogni qual volta sussista una ragione particolare valida, per assicurarne una sua proficua applicazione, sia per l’amministrazione, sia per i soggetti incisi, i quali possono entrambi meglio ritrarre nel dialogo (or. lat. dialŏgus, gr. διάλογος), ossia dal confronto intercorso per mezzo di parole comunicate (verbalmente o per iscritto) tra due o più soggetti agenti, la “consistenza” di ciò che si intende fare.

In tale dimensione, lo scopo per cui è prevista la partecipazione al procedimento da parte del (futuro) destinatario del provvedimento è duplice e contrassegna sia una finalità difensiva, atta a consentire un proficuo contraddittorio già in sede procedimentale, sia una finalità collaborativa, utile anche per la stessa amministrazione, che in tal modo può formare meglio il provvedimento finale in modo più attagliato al caso concreto.

Più recentemente, la giurisprudenza amministrativa (Cons. St., sez. VI, 16 gennaio 2023, n. 483) ha sottolineato la rilevanza del principio del contraddittorio nel corso di tutto il procedimento, perché la regola da applicare si innesta sempre su una situazione fattuale, che va accertata. La circostanza che in una eventuale sede giurisdizionale tale accertamento possa essere replicato o integrato in istruttoria giammai giustifica e non rende accoglibile una istruttoria procedimentale carente ovvero celebrata in violazione del contraddittorio, poiché ciò significherebbe alterare potestà pubbliche ex lege stabilite e la funzione stessa del giudice amministrativo (e del processo amministrativo), assegnando ad essi un ruolo almeno parzialmente sostitutivo, ossia succedaneo, al ruolo assegnato fondamentalmente all’amministrazione (e al procedimento amministrativo) di esercitare poteri anche vincolati, oppure facoltà discrezionali.

In tal modo, il principio tralatizio in giurisprudenza, secondo cui l’attività di repressione degli abusi edilizi, mediante l’ordinanza di demolizione, avendo natura vincolata, non necessita della previa comunicazione di avvio del procedimento ai soggetti interessati, considerando che la partecipazione al procedimento non potrebbe determinare alcun esito diverso, conosce un correttivo, nei casi di abuso (non per assenza del titolo edilizio, ma) per parziale difformità (dal medesimo), ovvero per variazione essenziale, ove fosse controversa e controvertibile in punto di fatto (e/o di diritto) l’entità della stessa variazione e fosse indi necessario condurre un apposito accertamento specifico, in primis nella sede amministrativa, meglio se, per l’appunto, in contraddittorio, o rectius garantendo la partecipazione (in tali termini: Cons. St., sez. VI, 1° giugno 2023, n. 5433). Un tal dialogo nel procedimento è inoltre funzionale a ottimizzare la comprensione stessa dei fatti e del diritto, da applicarsi nel processo, senza debordare, nell’interesse pubblico, in inutili misure repressive nei confronti dei soggetti ingiunti e senza compromettere il canone della proporzionalità.