Nella fattispecie parte ricorrente ha dedotto l’intervenuta formazione del silenzio-assenso sulla propria istanza ai sensi dell’art. 20 del D.P.R. n. 380 del 2001, essendo decorsi quasi ventuno mesi tra la data di presentazione della domanda e il provvedimento conclusivo di diniego, più del triplo di quello massimo di 180 giorni previsto dalla norma citata; né il predetto termine sarebbe stato interrotto dalle plurime richieste di integrazione documentale dell’amministrazione, dal momento che ciò sarebbe potuto avvenire una volta soltanto nel corso dell’intero procedimento amministrativo; l’istituto del silenzio-assenso sarebbe inapplicabile soltanto nei casi in cui il sito oggetto del progetto edificatorio sia assoggettato a vincoli ambientali, paesaggistici o culturali, nel caso di specie insussistenti.
Secondo noti principi, la formazione del silenzio-assenso sulla domanda di permesso di costruire postula, non soltanto l’avvenuta presentazione dell’istanza e il decorso del termine di conclusione del procedimento normativamente previsto, ma pure che l’istanza sia assistita da tutti i presupposti previsti per il suo accoglimento, e, in particolare, che essa sia conforme agli strumenti urbanistici vigenti (da ultimo, TAR Piemonte, II, 3 gennaio 2018, n. 12).
Da tale principio consegue che l’operatività dell’istituto del silenzio-assenso nella materia edilizia deve ritenersi confinata all’ipotesi in cui la richiesta del privato abbia ad oggetto il rilascio di un permesso di costruire “ordinario”, in relazione al quale l’amministrazione si limita a verificare la conformità del progetto edilizio alla normativa di settore e alla strumentazione urbanistica vigente, attraverso un’attività sostanzialmente vincolata nei propri contenuti, avendo l’amministrazione già esaurito la propria discrezionalità in sede pianificatoria, all’atto di redigere lo strumento urbanistico.
Per contro, l’istituto del silenzio-assenso di cui all’art. 20 del Testo Unico dell’Edilizia non è applicabile alla diversa fattispecie della richiesta di rilascio di un permesso di costruire “in deroga al vigente PRGC” di cui all’art. 5 comma 9 del D.L. n. 70 del 2011, dal momento che in tal caso l’amministrazione, lungi dal limitarsi a verificare la mera conformità del progetto edilizio allo strumento urbanistico vigente, è tenuta a valutare, innovativamente e con amplissima discrezionalità, se sussistano i presupposti di interesse pubblico per modificare lo strumento urbanistico vigente; il che, tra l’altro, giustifica e impone l’intervento in seno al procedimento amministrativo dell’organo consiliare, al quale soltanto competono le scelte di carattere pianificatorio e programmatorio in seno all’amministrazione comunale.
Pertanto, nel caso di istanze di privati preordinate al rilascio di un permesso di costruire in deroga allo strumento urbanistico di cui all’art. 5 comma 9 del D. L. n. 70 del 2011 (convertito in l. n. 106 del 2011), l’istituto del silenzio-assenso non è applicabile perché, se così non fosse, verrebbe pretermessa la necessaria valutazione degli interessi pubblici coinvolti nella pianificazione urbanistica (in tal senso, su fattispecie analoghe, Cons. Stato, sez. IV, 26 luglio 2017, n. 3680; TAR Pescara, I, 11 dicembre 2017, n. 352).
Né ha pregio l’argomento sviluppato – per la prima volta, peraltro – dalla difesa di parte ricorrente nella memoria conclusiva depositata in prossimità dell’udienza di merito, secondo cui a seguito della L. n. 125 del 2015 (cosiddetta Legge “Madia”) non vi sarebbe più una diretta correlazione tra silenzio-assenso e carattere vincolato dei provvedimenti amministrativi in materia edilizia, dal momento che la novella legislativa avrebbe esteso l’applicabilità dell’istituto a tutti i provvedimenti di carattere tecnico discrezionale, salvo il caso in cui sussistano vincoli a tutela di interessi pubblici sensibili, nel caso di specie insussistenti. L’argomento, osserva il collegio, è infondato dal momento che la novella legislativa di cui alla L. n. 125 del 2015, pur avendo ampliato l’applicabilità dell’istituto della SCIA e del silenzioassenso in materia edilizia, ha disciplinato unicamente il procedimento generale di rilascio dei titoli edilizi “ordinari”, riferiti a progetti conformi alla strumentazione urbanistica vigente, laddove nel caso dei permessi di costruire “in deroga” alla vigente strumentazione urbanistica l’amministrazione è chiamata a svolgere valutazioni innovative di carattere latamente politico in ordine all’opportunità, o meno, di modificare la pianificazione urbanistica nella prospettiva di razionalizzare il patrimonio edilizio esistente e di riqualificare aree urbane degradate: valutazioni connotate da amplissima discrezionalità e che nessuna norma consente di pretermettere sul solo presupposto del tempo trascorso dalla data di presentazione dell’istanza del privato.
D’altra parte, il parere del consiglio comunale previsto dall’art. 14 del D.P.R. n. 380 del 2011 (norma richiamata dall’art. 5 comma 9 del D.L n. 70 del 2011) non è soggetto a termini predeterminati, considerata l’ampiezza delle valutazioni di merito affidate all’organo consiliare, così come non è soggetto a termini predeterminati il procedimento di adozione e di approvazione dello strumento urbanistico generale e delle sue successive varianti.
Sul punto la Sezione ha già avuto modo di pronunciarsi nella sentenza n. 286 del 27 febbraio 2017, osservando che “né l’art. 5 del D.L. n. 70/2011 né l’art. 14 del D.P.R. n. 380/2001 stabiliscono il termine entro cui il consiglio comunale deve provvedere a rendere il parere di sua competenza, il quale costituisce non l’atto conclusivo ma un atto interno, benchè essenziale, del procedimento amministrativo delineato dalle predette due norme (cfr. TAR Piemonte, sez. II, 29 gennaio 2016 n. 91). Considerata la peculiarità e l’oggettiva complessità delle valutazioni demandate al consiglio comunale nella fattispecie procedimentale di cui si discute, valutazioni che assumono un carattere pianificatorio nella misura in cui possono determinare deroghe più o meno estese alla vigente strumentazione urbanistica, ritiene il collegio che non sia ragionevolmente applicabile a tale fase procedimentale né il termine speciale di 90 giorni previsto dal D.P.R. n. 380/2001 per il rilascio del permesso di costruire, né quello residuale di 30 giorni previsto dalla disciplina generale del procedimento amministrativo (art. 2 L. 241/90)”.
In tale contesto, eventuali ritardi o inerzie ingiustificate dell’amministrazione restano azionabili dall’interessato attraverso lo strumento processuale di cui all’art. 117 c.p.a., che consente al giudice di valutare la fattispecie sottoposta al suo esame secondo canoni di equità e di proporzionalità, tenendo conto da un lato della complessità delle valutazioni demandate all’organo consiliare e dall’altro dei doveri di correttezza e di buona amministrazione che incombono sulla parte pubblica, ai sensi dell’art. 97 della Costituzione. (…)
La giurisprudenza è concorde nell’affermare che il permesso di costruire in deroga allo strumento urbanistico è un istituto di carattere eccezionale rispetto all’ordinario titolo edilizio e rappresenta l’espressione di un potere ampiamente discrezionale che si concretizza in una decisione di natura urbanistica, da cui trova giustificazione la necessità di una previa delibera del consiglio comunale (TAR Napoli, Sez. VII, 22 giugno 2016, n. 3180; TAR Catania, sez. II, 15.12.2015, n. 2890); in tale procedimento il consiglio comunale è chiamato ad operare una comparazione tra l’interesse pubblico al rispetto della pianificazione urbanistica e quello del privato ad attuare l’interesse costruttivo, che assume peraltro rilievo pubblicistico nella misura in cui è volto a razionalizzare o a riqualificare aree urbane degradate (TAR Torino, II, 29 gennaio 2016, n. 91); la decisione che ne scaturisce è espressione di discrezionalità molto lata sulla quale il sindacato del giudice deve mantenersi esterno e limitato a vizi sintomatici manifesti, quali l’illogicità o il travisamento del fatto, e non sostitutivo di valutazioni ontologicamente opinabili (TAR Pescara, se. I, 11 dicembre 2017, n. 351). (…)
Si tratta, osserva il collegio, di valutazioni ampiamente discrezionali, non illogiche né irragionevoli, anche perché coerenti con le linee di indirizzo programmatico formulate dalla nuova amministrazione insediatasi a giugno 2016, soprattutto in relazione all’obiettivo di contenimento dell’uso del suolo: valutazioni che, in quanto tali, sfuggono al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, afferendo alle scelte di merito dell’amministrazione in materia di gestione del territorio.