Consiglio di Stato, Sez. IV, Sent. 13.11.2024 n. 9117
La nozione di ristrutturazione contenuta nel d.p.r. n. 380/2001 trova origine nell’interpretazione data dalla giurisprudenza amministrativa al disposto di cui all’art 31 della L. n. 457/1978 – secondo cui erano interventi di ristrutturazione edilizia “quelli rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, la eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti”.
La norma è stata interpretata dalla giurisprudenza nel senso che “la nozione di ristrutturazione edilizia, comprende anche gli interventi consistenti nella demolizione e successiva ricostruzione di un fabbricato, purché tale ricostruzione sia fedele, cioè dia luogo ad un immobile identico al preesistente per tipologia edilizia, sagoma e volumi, dovendo essere altrimenti l’intervento qualificato come di nuova costruzione (Cons. di Stato, Sez. II, n. 721 del 2 febbraio 2022; id. Sez. IV, 9 luglio 2010, n. 4462; Sez. IV, 5 ottobre 2010 n. 7310; Sez. IV, sentenza 10 agosto 2011, n. 4765, Sez. IV, sentenza 4 giugno 2013, n. 3056; Sez. II, 18 maggio 2020, n. 3153).
Nel corso del tempo vi è stato il graduale abbandono del concetto di “fedeltà” della ricostruzione che consentiva di mantenere la ristrutturazione edilizia quale tipologia di intervento edilizio di recupero presupponendo la preesistenza e la conservazione di un edificio da rinnovare o modernizzare.
Il tratto distintivo della ristrutturazione edilizia era costituito dall’esistenza, tra l’edificio preesistente all’intervento e l’edificio risultante dall’intervento, di una relazione di continuità, tale da essere percepita esternamente e da giustificare l’affermazione secondo cui l’edificio preesistente continuasse ad esistere anche dopo l’intervento di ristrutturazione (Cons. Stato, Sez. VI, n. 2294 del 7 maggio 2015).
Prima della modifica normativa operata dal legislatore nel 2013 – quindi, con riguardo alla fattispecie per cui è causa – questa particolare relazione di continuità tra edificio preesistente ed edificio risultante dalla ristrutturazione, implicava, con specifico riferimento alla ristrutturazione attuata attraverso la demolizione e ricostruzione, non solo il rispetto della volumetria, della sagoma e degli elementi distintivi, ma anche il fatto che le due operazioni, cioè la demolizione e la ricostruzione, avvenissero in un unico contesto, senza soluzione di continuità, comportando che la ricostruzione fosse già programmata al momento della demolizione/crollo spontaneo, dell’edificio da ricostruire.
La modifica legislativa di cui all’art. 30, comma 1, lett. a) del d.l. n. 69/2013 ha inciso proprio su questo punto, modificando l’art. 3, comma 1, lett. d) del d.p.r. n. 380/2001, risolvendo la continuità tra esistente e ricostruito necessaria in precedenza e ponendo la condizione che la consistenza dell’immobile sia documentalmente comprovata (art. 9 bis, d.p.r. n. 380/2001).
L’appellante fa leva proprio su questa modifica normativa per inferire l’illegittimità del diniego, sia sotto il profilo della irrilevanza della contestualità o contiguità temporale che della erronea previsione contenuta nell’art. 9 delle n.t.a. del R.U.
E invero, a seguito della novella normativa del 2013, l’art. 3, comma 1, lett. d), del d.p.r. n. 380/2001 include nella ristrutturazione edilizia tre tipologie di demolizione e ricostruzione:
• (i) una connotata dalla unicità del contesto “temporale” di realizzazione dei vari interventi, con rispetto della volumetria preesistente;
• (ii) l’altra caratterizzata, all’opposto, dal fatto che la ricostruzione/ripristino risulta indipendente dalla demolizione, con possibilità di realizzare i due interventi anche a distanza di tempo, ma anche in questo caso con la necessità di rispettare la “preesistente consistenza”;
• (iii) da ultimo, la demolizione seguita da ricostruzione in zone tutelate, connotata dal rispetto della “preesistente consistenza” indipendentemente dalla contestualità, o meno, dei due interventi, con la precisazione che a partire dalle modifiche introdotte nel 2020 il legislatore ha richiesto, in tal caso, il rispetto di “sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria”, cioè una ricostruzione assolutamente “fedele” all’edificio preesistente.
Sennonché, la giurisprudenza amministrativa sopra richiamata ha poi chiarito che la disposizione introdotta dall’art. 30 del d.l. n. 69/2013, secondo quanto previsto dal comma 6, trova applicazione dalla data di entrata in vigore della legge di conversione (legge 9 agosto 2013, n 98, pubblicata sulla G.U. 20/08/2013 n. 194).