Sanatoria paesaggistica degli abusi minori

Consiglio di Stato, Sez. V, Sent. 04.11.2024 n. 8722

 La (re)introdotta possibilità di sanatoria paesaggistica degli abusi minori ingloba in sé la possibilità –recte, l’obbligo – di irrogare una sanzione pecuniaria che solo in relazione ai criteri di individuazione mutua la formulazione del “vecchio” art. 15 della legge n. 1497/1939. Nell’impostazione del legislatore del 2006, cioè, è la natura minimale dell’abuso, per come configurata a monte e tassativamente dal legislatore, a consentirne la sanatoria, in quanto valutato per tipologia e consistenza ex se inidoneo a produrre un danno ambientale. In tale logica la somma di denaro tiene luogo della demolizione che resta il rimedio generale, a valere sempre e comunque, ove non sia stata richiesta una legittimazione postuma. Come si vede, si tratta di un’impostazione totalmente diversa da quella seguita dal legislatore del 1939, che, come detto, facoltizzava l’Amministrazione a far demolire o monetizzare, senza indicare la casistica di riferimento, ma rimettendone la valutazione all’organo titolare del potere sanzionatorio, e comunque al di fuori del procedimento di sanatoria, pur costituendo quest’ultimo l’avvio tipico dell’accertamento dell’illecito.

La separazione tra sanatoria paesaggistica e sanzione nel sistema della legge del 1939 è confermata dal fatto che sul piano degli effetti, il rilascio della prima, che in linea di massima conseguiva alla ricordata carenza di danno ambientale, «pur inibendo il ricorso alla misura ripristinatoria, non può considerarsi un equipollente perfetto dell’autorizzazione tempestiva, lasciando fermo, in capo alla competente Amministrazione, il potere-dovere di procedere all’applicazione della sanzione pecuniaria ex art. 15, legge n. 1497 del 1939» (cfr. ancora Cons. Stato, n. 6113/2013). Essendo quest’ultimo un provvedimento di natura repressiva, cioè, doveva essere comunque adottato in ragione della conclamata violazione dell’obbligo da parte del suo destinatario indipendentemente dalla presenza di un danno ambientale, per il solo fatto che fosse stata accertata la realizzazione dell’intervento violando determinate regole, tra le quali, segnatamente, quella della necessità del titolo di legittimazione preventiva. L’“indennità” prevista dall’art. 15 della l. 29 giugno 1939, n. 1497, dunque, quale alternativa alla demolizione per il caso di violazione degli obblighi e ordini previsti a tutela delle bellezze naturali, in quanto sanzione amministrativa pecuniaria, e non forma di risarcimento del danno, è dovuta, come detto, anche se la violazione delle norme non ha in concreto prodotto alcun danno paesaggistico-ambientale. Nella previsione normativa, infatti, tale danno viene in considerazione solo come criterio di commisurazione della sanzione – in alternativa al profitto conseguito – e non come parametro per l’an della misura medesima (Cons. Stato, sez. IV, 14 aprile 2010, n. 2083; id., 2 giugno 2000, n. 3184; 16 aprile 2010, n. 2160; sez. VI, 18 aprile 2007, n. 1766; C.G.A.R.S., 20 marzo 2009, n. 135; A.G., 11 aprile 2002, n. 4/02).

Nel sistema del d.lgs. n. 42 del 2004, invece, la concessione della sanatoria implica l’irrogazione della sanzione, che dunque tiene luogo della demolizione e per tale ragione si ritiene ne mutui tutte le caratteristiche reali, ivi inclusa la sostanziale imprescrittibilità. Tale sanzione, cioè, pur se di carattere pecuniario, partecipa della medesima natura di ricomposizione dell’ordine urbanistico della legalità violata e di soddisfazione del prevalente interesse pubblico all’ordinato assetto del territorio che connota quella ripristinatoria (Cons. Stato, sez. VI, 30 giugno 2023, n° 6381). Il potere di irrogarla è posto a presidio dell’interesse pubblico di rango costituzionale alla preservazione del paesaggio ed è esercitabile finché perdura l’illecito, che ha natura permanente e cessa soltanto con la rimessione in pristino o con il pagamento della sanzione irrogata.

Una volta chiarita la diversa natura dei due rimedi, seppure contenutisticamente identici, in ragione del mutato contesto sistematico nel quale si inseriscono, è evidente che per il provvedimento sanzionatorio ex art. 15, l. n. 1497/1939, peraltro anche nei casi in cui non venga all’evidenza alcuna lesione dell’interesse paesaggistico, come quello in controversia, non può essere adottato sine die e ad libitum dell’amministrazione, ma è assoggettato ai normali termini prescrizionali previsti al riguardo. Per quanto, infatti, non sia ancora sopito il dibattito circa la portata generale di tutti i principi espressi dalla legge 24 novembre 1981, n. 689, alla generalità degli illeciti amministrativi, non è revocabile in dubbio che ad essi si applichi il termine di prescrizione di cui all’art. 28 (Cons. Stato, sez. II, 4 giugno 2020, n. 3548).

Per mera completezza il Collegio evidenzia come la nitidezza della evidenziata distinzione è destinata a generare nuove aree chiaroscurali se si ha riguardo alla nuova disciplina della sanatoria ordinaria introdotta con l’introduzione nel d.P.R. n. 380 del 2001 dell’art. 36-bis, ad opera del d.l. 29 maggio 2024, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2024, n. 105 (c.d. “salva casa”): il comma 5-bis, infatti, consentendo l’accertamento di conformità anche per interventi eseguiti in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica sulla base del previo parere favorevole dell’autorità preposta alla tutela del vincolo, peraltro anche in caso di lavori che abbiano determinato la creazione di superfici utili o volumi ovvero l’aumento di quelli legittimamente realizzati, sembrerebbe avere di fatto ampliato le previsioni di cui all’art. 167, ma delegando (nuovamente) al parere la valutazione di compatibilità paesaggistica, e dunque un giudizio di merito che, ove negativo, implicherà la demolizione, in luogo della sanzione pecuniaria.

Va infine ricordato come in linea di principio, il rilascio dei titoli (quello edilizio e anche quello paesaggistico, nel caso di presenza del relativo vincolo) fa cessare la permanenza dei relativi illeciti (Cons. Stato, sez. IV, 2 marzo 2011, n. 1359). Infatti, per il principio di legalità, le opere edilizie si possono considerare supportate da un titolo solo se quello richiesto dalla legge è rilasciato prima della loro realizzazione o successivamente (nei casi consentiti di condono o di accertamento di conformità), così come – sotto il profilo paesaggistico – le opere si possono considerare supportate da un titolo solo se la relativa autorizzazione è rilasciata e diventa efficace prima della loro realizzazione o successivamente (nei casi consentiti di condono o di accertamento di conformità).