E’ rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 6 ter, l. 7 agosto 1990, n. 241, per violazione degli artt. 3, 24, 103 e 113 Cost., nella parte in cui consente ai terzi lesi da una SCIA edilizia illegittima di esperire “esclusivamente” l’azione di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3, c.p.a, e, ciò, soltanto dopo aver sollecitato l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione.
Ha chiarito il Tar di condividere le perplessità espresse dal Tar Toscana, nell’ordinanza n. 667 del 2017, con cui è stato rimesso alla Corte costituzionale il vaglio di legittimità dell’art. 19, comma 6-ter, l. n. 241 del 1990, per assenza di previsione espressa di un termine entro il quale il terzo deve sollecitare il potere inibitorio dell’amministrazione.
Ha aggiunto che però il problema non riguarda soltanto il termine per sollecitare il potere dell’amministrazione, come condivisibilmente rilevato dall’ordinanza appena citata, ma anche il tipo di procedimento attivato dal terzo (ovvero le cd. verifiche). Quanto al termine, non vi è nessuna soluzione, tra quelle proposte dalla giurisprudenza che si è occupata della questione, fondata su di un adeguato riferimento normativo. In particolare, sono da ritenersi non idonee a risolvere la problematica de qua: la tesi secondo cui il termine concesso al controinteressato per presentare l’istanza sollecitatoria sarebbe lo stesso che la norma assegna all’amministrazione per l’esercizio del potere inibitorio ufficioso, in quanto il dies a quo di tale termine coincide con il “ricevimento della segnalazione” da parte dell’amministrazione, fase cui è del tutto estraneo il terzo; la tesi che sostiene che la facoltà del controinteressato di proporre l’istanza inibitoria ex art. 19 comma 6 ter sarebbe soggetta al termine decadenziale di sessanta giorni (prendendo in prestito il termine processuale di impugnazione), in quanto vi è diversità ontologica tra la disciplina invocata (termine per le proposizione di atto “processuale”) e l’ambito di attività in esame (ricerca di termine per attivazione del privato in sede “amministrativa”); la tesi che richiama il termine annuale di cui all’art. 31, comma 2, c.p.a., in quanto anche in questo caso si confonde un termine processuale (quello dell’art. 31 c.p.a.) con un termine amministrativo (quello per la sollecitazione delle verifiche da parte della p.a.).
Quanto alla sollecitazione del potere di verifica, risulta erronea, ad avviso del Tar, la tesi secondo cui si tratterebbe dell’impulso all’avvio di un procedimento analogo a quello inibitorio di cui all’art. 19, comma 3, l. n. 241 del 1990, per due ordini di motivi.
Invero, da un lato, l’amministrazione beneficerebbe inammissibilmente di una sorta di rimessione nei termini rispetto al procedimento attivato sulla base della segnalazione certificata, il cui limite temporale entro il quale intervenire con il potere repressivo (trenta giorni) è stato nel frattempo definitivamente superato.
Dall’altro, viene introdotto in via pretoria, seppure per apprezzabili motivi, un correttivo normativo per permettere al terzo controinteressato di sostituirsi all’amministrazione, tramite l’utilizzo in via mediata di un potere di azione non consentito al privato dall’ordinamento, in luogo dell’ordinario regime di impugnazione di un provvedimento lesivo.
La lettura del dato normativo testuale – e della ratio legis ad esso sottesa – induce invece ad arrivare ad altra ricostruzione del nuovo sistema di tutela del terzo attualmente vigente in materia di SCIA edilizia.
Innanzitutto, è pacifico ormai, a seguito dell’intervento esplicito del legislatore – che ha aderito alla tesi già in precedenza sposata sul punto dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato -, che la segnalazione certificata non è un provvedimento amministrativo a formazione tacita e non dà luogo in ogni caso ad un titolo costitutivo, ma costituisce un atto privato volto a comunicare l’intenzione di intraprendere un’attività direttamente ammessa dalla legge.
Si tratta sostanzialmente di attività libera, sulla quale però l’amministrazione, in virtù dell’interesse tutelato, conserva un potere di controllo più penetrante di quello ordinariamente esercitato sulle libertà garantite ai privati.
Risulta connaturata a tale nuova prospettazione giuridica una correlativa rimodulazione della tutela dei terzi dinanzi al Giudice amministrativo; l’assenza di un provvedimento amministrativo, con il residuare di un mero potere di controllo ex post da parte dell’ente pubblico, condiziona espressamente la possibilità per i privati di paralizzare l’attività di altri privati radicando una controversia concernente l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, in aggiunta o in luogo degli ordinari rimedi esperibili dinanzi al Giudice ordinario a tutela della proprietà e del possesso.
Secondo la ratio legis, dunque, le iniziative spettanti ai terzi interessati si riflettono interamente nei poteri esercitabili dall’amministrazione: se entro trenta giorni dal deposito della SCIA edilizia l’amministrazione non si è attivata, i terzi hanno azione, entro i termini di prescrizione ordinaria, per l’accertamento dell’obbligo dell’amministrazione di verificare e manifestare (tramite provvedimento espresso) la sussistenza o meno delle condizioni previste dall’art. 21-nonies, l. n. 241 del 1990, una volta che il Giudice amministrativo abbia accertato l’astratta fondatezza delle censure tecniche avanzate dagli interessati. Ne deriverà, a seconda delle conclusioni raggiunte ad esito della nuova verifica operata dall’amministrazione, l’adozione di un provvedimento che neghi motivatamente la possibilità di intervento in autotutela, oppure, al contrario, l’adozione di un provvedimento che ordini la rimozione degli effetti dannosi dell’attività edilizia intrapresa o diversa sanzione prevista dalle norme di settore.
Sotto altro profilo, il Tar osserva che la disposizione di cui al comma 6-ter dell’art. 19, l. n. 241 del 1990 introduce per legge un’ipotesi di inerzia sanzionabile della p.a., ai sensi dell’art. 31, commi 1, 2 e 3, c.p.a.; si rientra cioè in uno degli “altri casi previsti dalla legge”, in cui “chi vi ha interesse può chiedere l’accertamento dell’obbligo dell’amministrazione di provvedere” (art. 31, comma 1, sopra citato).
E’ stato cioè previsto un caso di obbligatorietà della risposta pubblica rispetto alla sollecitazione dei poteri di autotutela da parte del privato.
L’obbligo di provvedere, peraltro, una volta accertato, non può che portare ad un esercizio del potere conforme alle norme che regolano tale esercizio.
Se, pertanto, come nel caso di specie, sia decorso, alla data della sollecitazione del potere di verifica da parte del terzo, il termine entro il quale l’amministrazione avrebbe potuto vietare la prosecuzione dell’attività edilizia intrapresa e ordinare la rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa, l’accertamento dell’obbligo di provvedere non può che costituire il presupposto per l’esercizio del potere di annullamento di ufficio di cui all’art. 21-nonies, l. n. 241 del 1990.
Correlativamente, il Giudice non può conformare l’amministrazione ad una specifica condotta, né tanto meno condannarla all’emissione di un determinato provvedimento, dovendosi limitare ad accertare la sussistenza dell’inerzia e la necessità di un riesame, alla luce di un vaglio necessario e preliminare sulla fondatezza delle doglianze esposte dall’interessato, e in applicazione, per espresso rinvio legislativo, e seppure con i temperamenti del caso, dei primi tre commi dell’art. 31 c.p.a..
In altri termini, l’azione proposta dai terzi non cambia natura (azione di accertamento dell’obbligo di provvedere), qualunque sia il termine entro il quale viene proposta, e salvi gli effetti della prescrizione, ma a modificarsi sono i poteri successivamente esercitabili dall’amministrazione, e, prima ancora, i limiti di esercizio del potere di accertamento giurisdizionale.
D’altra parte, significativa conferma della correttezza della ricostruzione appena operata, è data proprio dalla circostanza che il legislatore abbia espressamente riconosciuto ai terzi interessati “esclusivamente” la possibilità di esperire l’azione di accertamento, con preclusione, dunque, non solo dell’accesso all’azione di annullamento, ma anche della possibilità di proporre l’azione di condanna al rilascio di un provvedimento, ex art. 34, comma 1, lett. c), c.p.a..
Invero, se il procedimento attivato dal terzo leso da una SCIA illegittima fosse sempre e solo quello inibitorio e non quello di autotutela, sarebbe del tutto incomprensibile l’eliminazione dallo strumentario processuale a disposizione del ricorrente dell’unica azione che, una volta che non residuino margini di discrezionalità in favore dell’amministrazione procedente (come normalmente accade a seguito di riconoscimento giudiziale della doverosità dell’intervento repressivo), gli permetterebbe una tutela piena ed immediata.
Sotto altro, concorrente profilo, non è seriamente ipotizzabile uno scenario di tutela tanto asimmetrico da configurare da un lato l’eliminazione di ogni discrezionalità nella successiva esplicazione dei propri poteri da parte dell’amministrazione (intendendo il richiamo al comma 3 dell’art. 31 c.p.a. come limitato al potere giudiziale di accertamento della fondatezza della pretesa, sempre e comunque), e dall’altro l’impossibilità per il ricorrente di ottenere anche una sentenza di condanna al rilascio del provvedimento richiesto.
E’ evidente, invece, che il richiamo esplicito al terzo comma dell’art. 31 c.p.a. costringe il Giudice ad interrogarsi, prima di procedere all’accertamento o meno della fondatezza della pretesa dedotta in giudizio, su quali sia la natura (discrezionale o vincolata) del potere ancora esercitabile dall’amministrazione.
In definitiva, il nuovo sistema di tutela del terzo leso da una SCIA edilizia illegittima è stato consapevolmente costruito nei termini di una ridotta forza processuale del controinteressato, e non può essere interpretato in modo diverso, e costituzionalmente orientato, se non tramite l’inammissibile costruzione pretoria di un regime impugnatorio sprovvisto di base normativa.
Questa soluzione, peraltro: – da un lato ha il pregio di depotenziare i dubbi di incostituzionalità sollevati dal Tar Toscana con riferimento alla mancata previsione di un termine decadenziale per l’esercizio del potere sollecitatorio da parte del terzo – contemporaneamente evitando all’interprete la necessità di “forzare” altri dati normativi, previsti per differenti fattispecie, al fine di individuare il suddetto termine -, in quanto la sollecitazione “privata” delle verifiche non effettuate può avvenire in ogni tempo dal deposito della SCIA, ma l’intervento repressivo dell’amministrazione, ad eccezione degli abusi edilizi più gravi, sanzionati in via autonoma dall’art. 31, d.P.R. n. 380 del 2001 (secondo quanto condivisibilmente affermato dall’Adunanza plenaria n. 9 del Consiglio di Stato), e non legittimati dalla SCIA – la cui portata effettuale deve intendersi limitata ai soli interventi segnalati (cfr. al riguardo, da ultimo, Tar Napoli, sent. n. 914 del 2018) -, deve sottostare a rigorosi limiti temporali e motivazionali, ex art. 21-nonies l. n. 241 del 1990; non si corre il rischio, così, di lasciare che il privato che avvia un’attività edilizia sottoposta a mera segnalazione certificata resti soggetto per un tempo indeterminato e a priori indefinibile ad un intervento repressivo dell’amministrazione; – dall’altro, espone la nuova disciplina prevista dall’art. 19 della L. n. 241 del 1990 ad un dubbio di costituzionalità, nella misura in cui la stessa risulta non idonea a tutelare in modo efficace la sfera giuridica del terzo.
Sotto questo profilo, infatti, il Tar osserva che il terzo ha innanzitutto l’onere, prima di agire in giudizio, di presentare apposita istanza sollecitatoria alla P.A., così subendo una procrastinazione del momento dell’accesso alla tutela giurisdizionale, e, quindi, un’incisiva limitazione dell’effettività della tutela giurisdizionale in spregio ai principi di cui agli artt. 24, 103 e 113 Cost.
Inoltre, e soprattutto, l’istanza è diretta ad attivare – qualora, come normalmente accade, siano già decorsi trenta giorni dall’invio della segnalazione, di cui ovviamente il terzo non ha diretta conoscenza – non il potere inibitorio di natura vincolata (che si estingue decorso il termine perentorio di legge), ma il c.d. potere di autotutela cui fa riferimento l’art. 19, comma 4, l. n. 241 del 1990. Tale potere, tuttavia, è ampiamente discrezionale in quanto postula la ponderazione comparativa, da parte dell’amministrazione, degli interessi in conflitto, con precipuo riferimento al riscontro di un interesse pubblico concreto e attuale che non coincide con il mero ripristino della legalità violata.
Con il corollario, come detto, che nel giudizio conseguente al silenzio o al rifiuto di intervento dell’amministrazione, il giudice amministrativo non può che limitarsi ad una mera declaratoria dell’obbligo di provvedere, senza poter predeterminare il contenuto del provvedimento da adottare. Evidente risulta, allora, la compressione dell’interesse del terzo ad ottenere una pronuncia che impedisca lo svolgimento di un’attività illegittima mediante un precetto giudiziario puntuale e vincolante che non subisca l’intermediazione aleatoria dell’esercizio di un potere discrezionale.
In definitiva, se la lesione dell’interesse pretensivo del terzo è ascrivibile alla mancata adozione di un provvedimento inibitorio doveroso, è incongruo che la tutela debba riguardare l’esercizio del diverso e più condizionato potere discrezionale di autotutela. Ne consegue che non è manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale dell’art. 19, comma 6-ter, l. n. 241 del 1990, per violazione degli artt. 3, 24, 103 e 113 Cost,, nella parte in cui consente ai terzi lesi da una SCIA edilizia illegittima di esperire “esclusivamente” l’azione di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3 c.p.a, e, ciò, soltanto dopo aver sollecitato l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione.
Per una tutela piena ed effettiva della loro posizione giuridica, infatti, i terzi interessati dovrebbero avere la possibilità di azionare gli ordinari rimedi giurisdizionali azionabili avverso le iniziative edilizie illecite altrui, qualunque sia la modalità di acquisizione del titolo legittimante, senza essere costretti a dovere richiedere, prima di agire, l’intermediazione dell’autorità pubblica, e senza essere soggetti, dopo avere agito in giudizio – per il mero decorso del tempo concesso all’amministrazione per attivare il potere inibitorio – ai forti limiti di tutela giurisdizionale derivanti dall’intermediazione aleatoria dell’esercizio del potere discrezionale di autotutela.
Al contrario, come visto, è evidente che il legislatore del 2011, introducendo il comma 6-ter in coda all’art. 19, ha consapevolmente precluso al terzo interessato l’unica possibilità di intervenire, tramite declaratoria giudiziale di illegittimità, sulla conclusione negativa del procedimento di controllo dei presupposti avviato dall’amministrazione a seguito della segnalazione certificata.
Tale possibilità di tutela era stata enucleata dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 15 del 2011, proprio al fine di non esporre il sistema ai profili di incostituzionalità in sede odierna dedotti, mediante l’assimilazione ad un provvedimento negativo per silentium della condotta di inerzia mantenuta dall’amministrazione allo spirare del termine previsto dalla legge per l’esercizio del potere inibitorio.
Ma la modifica legislativa, come visto, ha da un lato impedito al terzo la possibilità di esperire un’azione di natura impugnatoria o di condanna (gli interessati possono agire soltanto ex art. 31, comma 1, 2 e 3, c.p.a.), dall’altro, mediante il richiamo espresso di tutti e tre tali commi, ha limitato la possibilità del Giudice di accertare la fondatezza della pretesa ai soli casi di attività vincolata.
Tuttavia, quando il termine per l’esercizio del potere inibitorio è nel frattempo decorso – come avvenuto nel caso oggetto della presente controversia -, l’obbligo accertabile in capo all’amministrazione è soltanto quello previsto dal comma 4 dell’art. 19 della legge sul procedimento amministrativo, secondo cui “l’amministrazione competente adotta comunque i provvedimenti previsti dal medesimo comma 3 in presenza delle condizioni previste dall’art. 21-nonies”.
Conseguentemente, il Giudice adito non può predeterminare il contenuto del successivo provvedimento dell’amministrazione, con indubbia e inevitabile lesione del diritto del terzo ad una piena ed effettiva tutela giurisdizionale.
In altri termini, il legislatore ha congegnato un sistema tale da comprimere in giudizio l’esplicazione di tutte le facoltà giurisdizionali normalmente connesse alla posizione soggettiva di interesse legittimo pretensivo del soggetto leso da un comportamento illegittimo dell’amministrazione, escludendo la possibilità, tramite il rinvio ad un successivo esercizio del potere sempre e comunque discrezionale, che la violazione di tale interesse legittimo ottenga un’efficace e satisfattiva riparazione già dinanzi al Giudice adito.